La verità svelata a’ principi overo successi diversi tragici et amorosi occorsi in Napoli dall’anno 1442 sin all’anno 1688

[Brani di “La verità svelata a’ principi o vero successi diversi tragici et amorosi occorsi in Napoli dall’anno 1442 sin all’anno 1688” dedicati a Isabella d’Aragona, a Bona Sforza e Costanza di Capua. Dal ms. Ital. fol 145]

Di Donna Isabella di Aragona, duchessa di Milano e di Bari e di Bona Sforza, sua figlia.

Successo VIII

Isabella d'Aragona, della quale semo porti a parlare, fu figliuola di Alfonzo, duca di Calabria, e di Ippolita Maria Sforza, figlia di Fran cesco, duca di Milano; nacque in Napoli 2 del mese di ottobre 1470. S'avanzò con gli anni della bellezza a segno tale che nella sua gioventù non si ritrovò donna alcuna che le potesse stare a paro. Pervenuta costei nel decim ottavo anno della sua età, che fu nell'anno 1488, a 21 dec embre fu maritata a Giovanni Galeazzo Sforza, duca di Milano, figlio di Galeazzo Maria, che a 26 decembre 1476, giorno della festività di S anto Stefano, fu da congiurati ucciso nella chiesa dello stesso santo nella città di Milano. Col quale procreò tre figliuoli, cioè uno maschio nominato Francesco che menato in Francia, fu fatto castrare, e racchiuso in un monastero, Bona, che fu a suo tempo regina di Polonia, e duchessa di Bari, et un’altra figliuola chiamata Ippolita che poco tempo visse. Morto poi Giovanni Galeazzo, suo marito, nel 1494 di veleno fattoli dare da Lodovico il Moro, suo zio, per usurparli lo stato, essendo discacciata dal Moro, se ne venne in Napoli con Bona, sua figlia, qual era d’anni tre, e le fu di Alfonso suo padre, che di fresco era succeduto p er la morte del re Ferdinando al reame dato per sua habitazione il castello di Capuana et anco li diede l’investitura del ducato di Bari. Successe poco doppo, cioè a 9 febr aio [44r] 1495 la partenza da Napoli di Alfonzo, avendo prima fatta la rinunza del reame a Ferdina ndo, suo figlio, la fuggita di questo ad Ischia con le donne reali per la sua venuta di Carlo Ottavo, re di Francia in Napoli. La scacciata de’ francesi con il ritorno d’esso Ferdinando, chiamato da napolitani, che fu nel mese di luglio del desso anno 1495. La ricuperazione d’esso fatta di tutto il regno di Milano da’ fran cesi, fuorché della città Taranto o Gaeta, la morte dello stesso seguita a 7 ottobre 1496 intempestivamente per aver voluto soverchiamente usare il coito di Giovanna sua moglie. La succ essione al regno di Federico, suo zio, che nell’anno 1497 ne fu incoronato per mano del cardinal di Valenza, figlio e legato a latere del Pontefice Alesandro VI. Il quale avendo retto il regno per qualche tempo, benché con poca quiete, sentendo la confederatione fatta contro d’esso da Lodovico XII, re di Francia e da Ferdinando, re di Spagna, di diversi regni di Napoli [44v] per avere continuamente occupato il pensiero a schivare sì gran torrente che li veniva addosso, diede il governo e reggenza di esso ad Isabella, sua nipote, donna di gran talenti, e sin all’hora ch’era il sesto lustro dell’età sua di incorrotta pudicitia. Or reggendo questa la giustitia di Napoli, avvenne nell’anno 1500 un caso strano, dove diede saggio della sua giustitia e severità. Un gentiluomo della famiglia Caracciolo, Signor della terra di Milicucca in Calabria, essendo grandamente innamorato d’una fanciulla vergine sua vassalla, non volendo, per goderla, usar publicam ente la forza, trovò per venire al suo disegno un bello, ma cattivo modo per lui, poiché avendo fatto inquirere il padre della fanciulla d’omicidio, lo fe’ carcerare, e benché il povero uomo fusse innocentissimo di tal delitto, che falsamente le veniva apposto, con tutto ciò non potendo aver giustitia, mandò la moglie e figlia dal suo [45r] padrone a raccomandarli la sua innocenza, il quale visto il suo disegno riuscire con fè s’aveva pensato. Ritiratasi la madre ad un canto sfacciatam ente li richiese la virginità di sua figlia se voleva liberar 11 liberar] Ms. libera il marito, altrimente l’avrebbe fatto stare eternimente carcerato e forsi fattolo morire. La povera donna ciò chiese un po’ di tempo a pensarci, ritornato alle carceri, raccontò ogni cosa al marito, il quale vedendo l’animo lascivo del padrone, non trovando altro rimedio al suo scampo, diede licenza alla mog lie di prostituire l’onore della commune figlia alle dissoneste voglie del padrone. Il ch’essendo eseguito, fu subito il padre liberato, il quale volendosi risentire di cotanto scorno, si partì molto secretamente dalla sua patria, e se ne venne in Napoli con la sua moglie e figlia, e presentatesi a Isabella ch’era la reggente della giustitia, gli diede raguaglio di tutto il successo con meraviglia di Isa-[45v]bella, la quale, chiaritasi prima della verità, mandò sin a Calabria per avere il delinguente nelle mani, e non potendolo avere, ordinò a tutti li gentiliuomini del segno di Capuana della famiglia Caracciolo che fra quindeci giorni li consegnassero il deliguente altrim ente avrebbe fatto diroccare tutte le loro case in Napoli. Et essendo venuto il tempo prefisso, senza che fusse presentato il reo, la duchessa mandò 25 fabricatori a diroccare tutte le case de sig nori Caraccioli, et avendo quell’incominciato a buttare a terra una casa d’un di essi, sta’ incontro le grada 22 l’inferriata dell’arcivescovado. Vedendo che non si burlava, si voltarono al favor del signor Prospero Colonna, che stava in molta stimatione della duchessa, et ottendere col suo mezzo altri giorni 15. Fra il qual tempo fu da essi presentato il malfattore, il quale posto strettam ente carcerato e non avendo potuto occultare il delitto, fu condennato a [46r] sposare la giovine, e dotarla di 4 mila docati , e poi ad essere decapitato. Sin come publicam ente il tutto fu eseguito alla Piazza del Mercato, poiché venuta la giovine acanto al talamo, fu dal Caracciolo sposata con tutte le solennità della chiesa e costituirli la dote per publico instr umento fu subito decapitato. Per la memoria del qual fatto fe’ la duchessa scolpire in bianco marmo due teste somiglianti alle loro effigie, e li fe’ ponere sop ra l’arco dell’orologio di S. Eloya riguardanti il luogo del supplicio.

Fatta dalla duchessa questa severa giustitia, acquistò nome di giustissima nel governo e d’incorrotta pudicizia, ma fin qui stette ferma in conservarsi incontaminata e casta per quel che dalle maniere di fuori apparve, ma non perseverò nel casto proposito, poiché essendo giovine del suo belliss imo corpo e senza marito, stimolata dalla fragilità umana e dalla continua servitù di Prospero Colonna, [46v] capitan del primo grido, passato a Fabrizio, suo cugino, a militare a favor del re Federico, il quale acceso oltre modo delle bellezze d’Isabella, che vinta alla fine la sua saldezza dal fervido amore di Prospero, si diede in preda, godendosi e sollazzandosi amorosam ente quasi ogni notte, passando però il loro amore con qualche cautela e secretezza. Hor a vendo Isabella rotto il freno alle lascivie e di pudica ch’era prima divenuta impudicissima, non contenta degl’abracciamenti del Colonna, si rivolse all’amore d’un suo creato chiamato Gesuè di Ruggiero, uomo nato vilmente nel casale di Marigliano, benché essendo di bell’aspetto, di gentili costumi. Era stato questo alli serviggi d’Isabella d’essa. Sig nor Prospero che l’aveva goduto per qualche tempo come suo amasio, e postoli amore di questo, che non trovava riposo, se’l fece una notte venire in camera con libidinoso appetito, se li diede in preda. Conten-[47r]to oltre modo il Ruggiero della fortuna cadutali in seno e ricevendo giornalmente da Isabella favori e doni pretiosissimi e di gran valore, oltre le molte richezze accomulò. Il maggiordomo della casa della padrona con invidia tale degl’altri della corte, vedendolo tanto inalazato et arricchito dalla padrona che pensarono di ruinarlo massimamente, ché con occhio livido miravano la bella fabrica del palaggio ch’il Ruggiero faceva fare nella strada di forcella intessuta di piccioli e spessi piperni. Di modo che sap endo che era un amante amato da Isabella, fatto rivale del Colonna un tempo suo padrone, col bel modo palesorono a questo i loro amori. Il Colonna che si credeva esser solo ai godim enti fatto accorto, divenuto che il Ruggiero non solo era partecipe di quelli, ma nell’amore di Isabella l’avanzava di gran lunga, fatto tutto sdegno per la rivalità di un huomo ch’era stato creato [47v] e vilmente nato, si dispose a farlo uccidere, e dato ordine ad alcuni soldati di ammazzarlo. Questi, incontratolo una sera vicino la Chiesa della Maddalena, l’assaltorono, e senza darli luogo di difesa, lo ferirono malam ente di tre coltellate in testa, due stoccate alli fianchi, una al ginocchio et un’altra sopra la spalla. Per le quali lo lasciorno in terra, agonizante. Alli gridi e lamenti del povero Giesuè concorse molta gente nel luogo dell’assasinam ento e trovato bensì ferito malamente, ma non morto, venne portato nel castello di Capuana nel suo appartamento, et ivi dato in mano de cherurghi. Ricuperò la sanità, e si guarì delle ferite, benché doppo molti mesi. Non si può descrivere il dolore che sentì Isabella, et avendo saputo che ciò era avvenuto per ordine e mandato di Prospero, non volse in modo alcuno ammetterlo, non solo a soliti pia- [48r]ceri amorosi, ma n’anche alla sua presenza, di che sentendone Prospero dispiacere infinito, si fe’ fare per inventione dal vescovo di Policastro, suo grand’amico, un’opra del Toro di Perillo, che fu il primo a provare quella gran pena del fuoco acceso sotto il ventre del Toro, nel qual egli fu posto dentro per lo capriccio del Tiranno Falari. E ciò fece Prospero per inferire ch’egli medesimo, per anteporre il suo creato Giesuè ad Isabella, era stata cagione del suo male, il motto ch’era attaccato all’impresa ingenio experior funera digna meo. Guarito il Ruggiero tornò alli godimenti di Isabella la quale vi è più di quella sempre innamorata oltremodo l’arricchì e d’onori e di beni di fortuna, ma non perciò che la duchessa stasse digiuna d’altri amori, quali da lei furono pratticati, non ostantino le disgratie del re Federico, suo zio, ch’infelicem ente avendo perduto il regno, s’era ritirato [48v] nel suo ducato di Bari, ove se ne stava favrendo et aggiutando li spagnoli, che già nel divedersi il regno erono venuti in rotta con i francesi, e benché questi fussero così vigliati da Matteo Acquaviva, duca d’Atri, a procurare aver nelle mani la città di Bari, per toglier al grande capuano Consalvo li sussidii che li mandava Isabella. Con tutto ciò monsignor della Polissa, biasmò tal convegno dicendo <che non dovevano occuparsi a combattere una femina, che si doveva> da ogni’uno esser rispettata, la lasciarono in pace. Scacciati ancor li francesi dal regno del quale n’era rimasto assoluto padrone Ferdinando il Catt ivo per la virtù del gran capitano Consalvo, le furono da questo anco per ordine del suo re fatti grandissimi onori et eggreggiamente trattata, con la confirma per essa e suoi eredi del ducato di Bari, dove viveva con splendore reale, conforme alla sua qualità conveniva, sempre corteg- [49r]-giata e servita da tutti quei baroni confinanti al suo stato, benché fusse passata oltre il quadragesimo anno dell’età sua, non perciò li stimavano le vogli amorose. Et avendo sua figliuola Bona quasi età di marito, li bisognava per non dare a questo scandolo alcuno procedere cautamente nelle sue dishonestà, et essendo absente il suo Roggiero, poiché per affari di molta importanza era rimasto in Napoli come suo ag giutante, considerati i cavalieri che pratticavano nella sua corte et i loro costumi e bellezze si compiacque estremamente d’un di quelli chiamato Alessandro della nobil fam iglia Pignatello, il qual era sig nore di Toritto, terra confinante al suo stato, anzi nella stessa provincia di Bari, giovine di molta leggiadria et di pretiossissimi costumi e talmente se n’invaghì che, scordatosi affatto gl’amori degl’altri, violentata da continui stimoli della carne, si dispose di goderla amorosamente e benché [49v] il Pignatello fosse accasato con una gentildonna della città di Barletta, della famiglia della Marra, nominata Lauora, con la quale avea procreato molti figli, il primo de’ quali si chiamava Ettore, ch’era d’età d’anni dieci. Con tutto ciò se n’era la duchessa in guisa accesa che in lui solo finivano i suoi pensieri, e non potendo più sopportare il concupiscibile appetito e fattoselo chiamare, li scoprì l’amore che li portava Alessandro in ventre. La duchessa di lui innamorata e ricercarlo di casa, che sarebbe stata desiderata da ogni grande principe, si pensò sognare che benché a più d’una pruova avesse conosciuto la duchessa esserli amorevole e fare a lui favore più che ad ogni altro de suoi corteggiani. Con tutto ciò, non sapendo quanto per lo passato era stata inhonesta, non li passava mai per l’imaginatione simil cosa, massimam ente essendo lui accasato e [50r] tener molti figliuoli benché fusse assai fresca e giovanile età di poco passando il sesto lustro. Onde tutto lieto di simil ventura, s’offerì alla duchessa per umilissimo servitore et amante, e non posto tempo in mezzo, appuntata l’ora di trovarsi secretamente insieme, colsero con gusto d’entrambi il frutto de’ loro dishonesti amori. Questa prattica durò per molt’anni e, benché si governassero con cautela, con tutto ciò ven ne a notizia di Alessandro, e la duchessa degl’abbracciamenti del suo caro Alessandro sempre mai più di lui innamorata, li fe’ doni pretiosissimi di gioie e di molti territori e poderi che possedeva con grossa rendita nel tenimento della città d’Ariano. Fra questo mentre essendo Ettore primogenito di Alessandro, cresciuto negli anni d’adolescenza e divenuto uno de più belli e leggiadri cavalieri che fossero in tutta quella provincia, e pratticando ordinariamente con suo [50v] padre nella corte della duchessa, avendo anche la fortuna in amore, ch’avea avuta suo padre s’innamorò di Bona, figlia unica della duchessa, la qual’essendo parimente pervenuta con l’età ad eccellente bellezza e procline più della madre agl’appetiti carnali, si mostrò con l’assidua servitù fattagli da Ettore pregevole a favorirlo più degl’altri, e crescendo con la lunga famigliarità e simpatia di sangue l’amore a desiderare li di lui abbracciamenti. Et ai desiderii communi seguivano i fatti, poiché si ritrovarono di notte insieme a sollazzarsi amorosamente et essendo fra questo mentre Alessandro, padre d’Ettore, [...] 33 Ms. lacunoso in questo punto di veleno non si sa da qual parte pervenuto. Fu ricercata Bona per moglie di Sigismondo, re di Polonia, onde la duchessa Isabella nell’anno 1517 se ne venne con sua figlia in Napoli, ricevuta con onori reali da Don Raimondo di Cordona, [51r] viceré del regno, andando a dimorare nel suo solito alloggiamento del castello di Capuana, et essendo in Napoli gl’ambasciatori del re Sigismondo venuto per lo detto sposalitio qual avevano avuto al re loro procura, bastante di ciò effettuare, si fece perciò il matrimonio nel detto castello di Capuana a 6 di decembre 1517, essendo Bona di anni venti con pompa e livree superbissime e di gran richezza intervenedovi tutte le principali dame e cav alieri della città e regno. Ricevé dalla duchessa, sua madre, oltre un ricchissimo corredo, degno d’ogni gran regina anco 100 mila docati contanti che furono per sua dote consegnati alli predetti i ambasciatori, pochi giorni doppo fatto lo sposalitio, si partì Bona da Napoli a 26 dì di mese di ottobre per Polonia accompagnata dalla duchessa, sua madre, e molti cavalieri fra quali il suo caro Ettore insin a Mafredonia, quale promise in [51v] breve d’andarla a ritrovare in Polonia. S’imbarcò ivi Bona accompagnata oltre quantità cavalieri da Prospero Colonna, tornato in gratia d’Isabella che la conduceva, e dal sig nor cardinal d’Este, suo stretto parente, come figlio d’Eleonora d’Aragona, duchessa di Ferrara, quali anco portarono splendida e numerosa corte. Arrivata Bona in Polonia, fu ricevuta dal suo marito con real pompa et allegrezza infinita, et essendo coricato la prima notte con lei, non avendola trovata vergine, soleva poi sovente dire il re suo marito queste parole: Regina Bona attulit nobis tria dona: faciem pictam, vulvam non strictam et pecuniam fictam44 pecuniam fictam] Ms. pecuniam non fictam per cagione delle molte monete false che furono trovate fra li 100 mila doc ati. Isabella, sua madre, partita sua figlia, diede una revista per il suo ducato di Bari e poi se ne venne in Napoli nella [52r] sua solita abitatione, menando per quel che apparentem ente si vedeva vita onestissima e nell’anno 1520 avendo avuto nuova che la regina, sua figlia, aveva partorito un figliuolo maschio quale fu nominato Sigismondo Augusto, fece nel detto castello una solendissima festa quale durò tre giorni. Or stando Isabella in Napoli, essendo arrivata agl’anni 54 della sua età, li sopragiunse la febre per la qual molto contrita per aver offeso Dio per la lasciva vita passata, se ne morì alli II di gebraro dell’anno 1524 e fu sepellita nella chiesa di San Domenico con superbissime esequie, avendo lasciato erede, la regina Bona, sua figlia.

Ettore, poichè videle partire, il suo amante amato, scordato della promessa fattali d’andarli a ritrovare in Polonia, pauroso forse, che seguendo li primeri amori non capitasse male, e benché sollecitavan let- [52v]tere dalla regina, trovate diverse scuse, non vi volle mai gire. Anzi volendo levare alla regina ogni pensiero dalla sua persona, si vole legare in matrimonio come in effetto prese per moglie una bellissima giovane della famiglia Caracciolo delli duchi di Martina, con la quale non procreò figliuolo alcuno, perché non stette molto con la moglie. Poiché saputo da Bona il suo accasamento, mossa da sdegno e gelosia, volle prenderne accerbissima vendetta, facendolo secretamente avvelenare del che se ne morì nel fiore della sua età, e della medesima morte di Alessandro, suo padre, poichè non potendolo aver per lei, non volle che lo godesse altri, benché sua moglie.

Proseguimento dell’istoria di Bona Sforza

Successo IX [53r]

Non si sa di certo se la regina Bona mentre visse il re Sigisimondo, suo marito, si portasse honestamente e li serbasse fede, essendo dubio la fama, di certo bensì che morto il re 1548, essendo rimasta vedova nella sua età di 50 anni compiti, capitò nella sua corte di Polonia Gio vanni Lorenzo Pappacoda, figlio di Francesco benemerito servitore di Bona per esser suo reggente nel ducato di Bari, e d’Isabella Siscara. Fuggito dal regno di Napoli, per togliersi dall’inimicitia contratta con alcuni potenti gentiluomini della città di Lecce, per un sfreggio fatto dare ad una bellissima cortegiana, che viveva in detta città sotto l’ombra di quelli, ed essendo giovine bellissimo e di gratiose maniere ornato, talmente di lui s’invaghì, che per non dormir sola, lo fece partecipe del suo letto, godendo insieme amorosam ente, qual prattica durò di Polonia alcuni anni, e benché con qualche secretez-[53v]za governavano i loro amori dall’invidiosi corteggiani che publicamente ne motteggiavano con pungenti parole. Il Pappacoda il quale per sfugire qualche sinistro incontro, che li soprastava, chiese più volte licenza alla regina di tornarsene in regno. Ma perché questa ne stava focosamente innamorata e credeva di non poter55 di non poter] Ms. di poter vivere senza di lui, dal qual era divenuta pazza d’amore, poich’essendo molto avanzata nella sua età et il Pappacoda, giovine di buon nerbo che non si stancava di facile nella lotta d’amore, pensò senza tant’occhi guardinchi et invidiosi, e posponendo la sua grandezza reale alle lascivi sodisfazioni di goderlo più alla libera, massimamente ch’il Pappacoda l’era un continuo stimulo al fianco di volerla abbandonare e venirsene in regno, si risolvette di far ritorno nel suo stato di Bari. Per dar colore alla [54r] sua partenza di Polonia, pigliò occasione di disgusto con Augusto, suo figlio, per il matrimonio di questo fatto con una sua vassalla, benché molto gentile e bellissima. Per la qual cosa nel mese di novembre 1555 la regina si partì da Polonia con fioritissima corte che il re li diede e col suo amato Giovanni Lorenzo, giunse in Italia nella città di Venetia, dov’essendo stata da quei signori ricevuta con gran pompa e grandissimi apparati, dimorata in q uella città per alcuni giorni, si partì et accompagnata dall’armata della Republica se ne venne nella città di Bari nel mese di maggio 1556, dove fu ricevuta da suoi vassalli con gran festa e sontuosi apparati, dove si diede al miglior tempo del mondo col suo Pappacoda, sempre vi è più di questo innamorata, e volendo con questo, trattenendosi pochi mesi attorno di quello, correggendo molt’abbusi che [54v] per la sua absenza s’erano introdotti. Finita questa visita, si dispose venire nella città di Napoli et ivi quanto più allegremente potesse col suo amante vivere e morire. Ma volendo accingersi alla partenza, fu sopragiunta da gravissima febre, per la qual conoscendosi mortale, fece il suo testamento, nel quale a persuatione di Lorenzo, lasciò suo erede di tutti li suoi stati, che in regno possedeva il re nostro signore Filippo, che Dio ... figlio dell’Imp erador Carlo V, che ancora viveva sequestrato dal mondo nel monast ero di S. Giusto nella città di Vagliadoli de’ monaci gerosolimitani e memore di grand issimo amore portato a Giovanni Lorenzo li lasciò, oltre il valsente di più di 200 mila docati d’oro, gioie e mobili pretiosi, tre buone e ricche terre in quella provincia, cioè Noia, Capurzo, Irigiano. E fatto il testamento se ne morì nel mese di novembre 1557. [55r]

D’Ercole D’Este Costanza di Capua, successo X.

È manifesto per tanta l’Europa che il marchese di Ferrara, Niccolò III d’Este fu singolarissimo e magnificentissimo principe di tanta riputazione fra principi italiani che più volte fu arbitro delle differenze, che tra di loro nascevano. Ebbe tre mogli, la prima fu Giulia, figlia di Francesco da Carrara, il giovane signor di Padoa, con la quale fece un figliuolo maschio chiamato Ugone, conte di Rovigo, la quale doppo il parto se ne morì. Per la qual cosa inclinato grandemente a piaceri venerii, si diede all’amore di diverse femine e tanti figliuoli bastardi li nacquero ch’avrebbe potuto far di loro un esercito, ma non tutti furono da lui dichiarati per figli, fuorché solam ente due, de quali uno si chiamò Leonello, che da una giovine bellissima chiamata Stella nacque, e questo li succedette nella signoria. Il secondo fu il fa-[55v]moso Borso, generato con una gentildonna senese della famiglia di Tolomei, il qual’essendo succeduto alla signoria a suo fratello Leonello di marchese, fu da Paolo II Sommo Pontefice creato duca di Ferrara, e da Federico d’Austri, qual prese molti anni doppo la morte della prima, fu Parigina, figliuola del signor Carlo Malatesta, potentissimo signor di molte città della Marca e della Romagna, e famoso capitano nell’arte militare, con la quale fece alcuna figliuola, che vissero poco tempo. Ma li bisogno d’incrudelire contro di quella, e del suo unico legittimo figliuolo, il conte Ugone, il quale inescato et abbagliato delle lascivie della sua matrigna, fu indotto a commettere con quella incestuoso adulterio, senza pensare quanto fusse scelerata et enorme l’ingiuria che faceva a suo padre, il quale [56r] accortosi con medesimi occhi di ciò, li fece ambedue decapitare dentro la torre del castello, dove gl’aveva fatti imprigionare e poi li corpi loro ben lavati e vestiti, li fe’ spettacolo a tutto il mondo. La terza moglie fu Ricciarda, figlia del marchese di Salluzzo, con la qual’essendo egli già divenuto vecchio, fece due figliuoli, cioè Ercole, del quale semo posti a parlare che nacque nel 1431 e Sigismondo nel 1433, il quale fe’ nutrire come si conveniva, ma essendo venuto a morte nell’anno 1441, e rimasti molto fanciulli, Ercole e Sigismondo, fu loro occupato lo stato da Leonello, loro fratello bastardo, e pregando lo pacificamento, mandò li due fratelli in quella fanciullesca età, avendo l’uno anni dieci e l’altri otto, a Napoli nella corte di Alfonzo d’Aragona, primo di questo nome re di Napoli, nella quale li due piccioli fratelli crescevano in valore, in prudenza, et in tutte l’altre virtù del loro nobilissimo sangue. Essendo pervenu- [56v] to Ercole all’età d’anni 18, di bel e gentil sembiante, valoroso a pari di qualsia cavaliere che nella corte di quello gran re fiorisse e pieno d’ogni virtù, s’innamorò fieramente d’una nobilissima donzella chiamata Costanza della famiglia di Capua, qual’era figlia di Luigi conte d’Altavilla, morto alcun anno indietro, e di Isabella a Pannoro, sorella di Galeazzo Pannone, ambi figli di Fran cesco, conte di Venosa. Viveva Costanza con molti suoi fratelli, il primo de quali si chiamava Andrea, che s’intitolava come primog enito, conte di Altavilla, sotto la cura d’Altobella loro madre, che gli aveva con virtuosa disciplina l’haveva in più d’una occasione Ercole veduta, e consideratone minutamente le maniere e gentil sembiante, se n’era come abbiamo detto fieramente invaghito, et a più d’un segno l’aveva fatta accorta dell’amore che li portava, e di tal maniera si governò in quest’amore, che Costanza cominciò ad aprire il suo petto alle fiam-[57r]me amorose, et a riamare lui fuori d’ogni credenza, del che lui si teneva il più avventoroso e favorito amante del mondo, e tutto si diede ad amorigiare e cavalcare e fare tutte quelle cose che a conservare e accrescere l’amore e la fiamma nei loro petti ardeva. Desideravano a trovare convenevol modo e maniera che insieme esser potessero, con l’aggiuto d’una fidata cameriera, secretaria de loro amori. Entrò una notte Ercole nella sua camera di Costanza con una scala di fune, appoggiata alla finestra che corrispondeva in una vietta non pratticata, con sopra saldo tanto grande di Costanza che venne meno alle braccia del suo amante, il quale confuso del svenim ento della sua cara, si diede al miglior modo che poté con l’aggiuto della cameriera a farla venire, et avendosi riavuta si diede ad un dirotto pianto con tanta confussione d’Ercole che no n sapeva in qual parte del mondo si fusse, e fattala sfogare alquanto, la prese a consolare [57v] e pregandola che desistesse dal ramarico perch’essendo ivi venuto col suo consenso e gusto, no n era per apportarle noia alcuna, ma far tutto quello che a lei fusse a grado. Rasciugate le lagrime, Costanza così prese a dirli: "Signor Ercole, sa Dio l’ardente e sviscerato amore che li porto, e se non fusse stata da questo così vehemente spinta, non averei assentito al venir vostro, qui di questa maniera fortivam ente con pericolo della vita d’entrambi e del mio onore, e d’esser favola del mondo. Per la qual cosa pensando in quel punto i lumi dell’intelletto, che prima tenevo offuscati, m’ucciderei con le mie mani, m’è sopragiunto tanto dolore. Ma al fatto non vi’è più rimedio, ed ad ogni qual cosa violenta che m’appigliasse, ciò mi farebbe perdere l’anima et il corpo, e sarebbe alla mia fama perpetuo dishonore né l’arnio verso di voi è stato, et è con altro pensiero, che d’esser perpetuamente nostra col santo legame del matrimonio, però s’havete altro [58r] pensiero in testa, che d’essermi sposo e signore, la prego d ritornarvene per la stessa via, che sete venuto, et a chiudere nel vostro petto, è debito d’ogni nobil cav aliero, tutto ciò, che ivi è avvenuto". Ercole a queste parole della sua dama rispose: "Signora, sallo Iddio qual chiamo in testimonio, che non con altro fine ho bramato e bramo il suo amore, che per esserli perpetuo servitore e sposo. E non piaccia a Dio che con altra intentione abbia voglia di toccarle un pelo del suo bellissimo corpo. E perció presente lui che n’ascolta e sa li miei amori. Io intendo per hora sin a miglior occasione et onesti piaceri e di questa vostra serva fida mezzana del nostr’amore. Io intendo per ora per l’interesse che tengo col marchese, mio fratello, di sposarla secretamente, cavandosi un ricco anello del deto la sposo, pregandola di tener ciò celato e si contentasse di differire a publicarlo [58v] insino a che stabiliti l’affari suoi vacellanti, potesse senza noia o pericolo non pensante che sogliono tal volta gl’uomini per trarsi i loro capricci servirsi di fatti mezzi, con dando e dishonore delle povere donne che danno loro facile credenza". Abbracciata e baciata da Ercole a titolo di sposa, spogliatisi entrorono nel letto, dove colsero il frutto de loro amori e prima che spontasse l’alba, licentiatosi da Costanza, se ne calò per la medema finestra nella viocciola, e se n’andò a casa.

Durò molti mesi questa prattica, senza che mai alcuno se n’accorgesse, se bene seppero tener celati li loro amori, e maggiormente la fortuna li fu propitia poiché la Costanza non uscì gravida avvenne fra questo mezzo che la cameriera, loro adiutrice, avendo havuti disgusti con altra cameriera favorita da Altobella, madre di Costanza, fusse da essa Altobella licentiata dal servitio di [59r] sua figlia, e dalla casa con tanto ramarico e disgusto di Costanza che fu per morirne di dolore, non solo perché come coscia de loro amori poteva in qualche modo propalarne il segreto. Ma anco bisognava dar paura a notturni congressi come in effetto se n’interroppe la continuazione con sommo disgusto degl’amanti. Fra tanto la cameriera piena di dolore per essere stata per il favore che la sua nemica aveva con Altobella licentiata, desiderando di ritornare alli serviggi della padrona, pregò e fe’ pregare il sig nor Galeazzo Pannone che si fosse interposto con sua sorella a volerla pigliare massimam ente che per leggiera occasione era stata licentiata. Non mancò Galeazzo di passar l’officio con sua sorella, acciò la pigliasse in sua casa, ma tutto fu in danno per causa del favor che teneva con quella, la sua nemica. E perch’era alquanto appariscente e di vista, Galeazzo portò gl’occhi adosso, fece pensiero di tenerla a suo piacere [59v] massimamente che viveva da soldato senza donna in casa. Era Galeazzo bravo e coraggioso et a più d’una prova s’era fatto conoscere per tale. Onde appresso del re Alfonzo era salito in grand’estimazione e da quell’haveva ricevuto molte onorate mercedi. Posto dunque ad effetto il suo pensiero, se la prese in sua casa, godendola amorosam ente e con gran piacere di quella, la quale non contenta degl’abbracciamenti del padrone, volle assaggiare quelli d’un servo che Galeazzo teneva fra gl’altri al suo serviggio di fiorita gioventù di maniere, e di volto gratioso e bello a paro di qualunque altro col quale scherzando licentiosamente più di quello si conveniva, diede materia a Galeazzo di accorgersi de loro amori, e non volendo incrudelire contro di loro amori, fattole insieme sposare, se li tolse di casa. Fra tanto Galeazzo teneva stretta prattica con Altobella, sua sorella, di conseguire per sposa a [60r] Costanza e tenendo il matrimonio per sicuro, n’aveva anco procurato la dispenza da Nicolò V Sommo Pontefice qual’esso Galeazzo era caro per molti serviggi a pro della chiesa prestati, ma benché sua sorella avesse condisero al matrimonio, con tutto ciò trovò tanta repugnanza la cagione, stava il più confuso e malcontento uomo del mondo. E la povera Costanza vedendosi da sua madre, perseguitata a volerla forzare a sì fatte nozze, si può considerare come stasse dolente. Per la qual cosa ne cadde infermo a letto con pericolo di lasciarvi la vita, era publica per la città e per la corte così la pretenzzione di Galeazzo come il continuo martellare che si faceva a Costanza dalla madre e dalla contessa di Caserta, sua zia, acciò desse il consenso alle nozze, e la Costanza di questa a non volere in conto alcuno condiscendere del [60v] che n’era caduta ammalata con pericolo della vita e conseguentemente il tutto era palese a Ercole, il quale benché fusse stata la loro prattica interotta, con tutto ciò conservava nel suo petto vi è più che mai cocente il fuoco dell’amore, e dubitando che a lungo andare col continuo martellare che faceva la madre e la zia, non perdesse la sua amata la Costanza in amarlo e facesse le nozze con Galeazzo. Punto sul vivo dalla fiera gelosia che l’assaltò, si rivolse, ma imprudentemente di scoprire e far palese la fede, che s’erano data di matrimonio, e che perciò quella non potea esser d’altri che sua e pregar Galeazzo che destesse dalla sua domanda, e quando ciò a preghiere non avesse voluto fare chi amarlo a duello et ucciderlo e con questa risoluz ione, trovatolo una mattina nell’anticamera del re gli disse: "Signor Galeazzo io credevo che l’amicitia stata sempre fra di noi, si dovesse convertire in stretta parentela stante [61r] le reciproche promesse di matrimonio che ci semo date con la signora Costanza di Capua, vostra nepote. E perché ho saputo che voi aspirate anco alle di lei nozze, forse ignavo delle promesse passate fra di noi. Perciò ve n’ho voluto far consapevole acciò vi possiate acquistare d’animo, né più far forzare la volontà di quella, la qual’essendo già mia, non può essere vostra in modo alcuno. Per ta nto lo prego che non vogli turbare li nostri pudichi amori, ma desistere dalla richiesta con mostrarmisi quell’amico che vuol la ragione altrimente vi fo’ sapere che non vorrei aver cagione di fare Galeazzo che superbo era le molte prove di valore fatte da lui in molte imprese". Sentendo ciò tutto, pieno di sdegno li rispose signor Ercole: "Io non posso credere ciò che narrato mi havete, né dove o quando hanno potuto seguire queste sognate promesse di matrimonio fra voi e Costanza, e perciò è necessario di credere che sia vostro [61v] mensogna come invidioso del mio bene per impedire le mie nozze con quella già concluse e stabilite con consenso di lei, e sepure come ha potuto accadere sia passato fra voi qualche semplice sguardo, che non può esser altrimente, com’è uso farsi da dama e cavaliere ciò non ha potuto esser che per solo beffarvi." Non poté Ercole ciò sentire che non li dasse una mentita soggiungendo che pari suoi da donne della qualità di Costanza sua nipote s’haveva a grado di averli per amanti non che per mariti.

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