Manoscritto dedicato a Elisabetta Andreetti

[1r] [p.1]

All’illustre signora e padrona mia principalissima, la signora Elisabetta Andreetti de PonsanPieri11 Pon Sampieri, Ponsampieri, Ponte S. Pietro. Si tratta di una località nel lucchese.

Se gl’è vero, com’è verissimo o mia cara et amata signora, che l’alma e ammirabil grandezza della luce, e chiarezza del rilucente lume, e splendore della vaga e sferica vostra, natural luna, rasserenante ogni nostro emispero, sia il secondo lume degl’alti lumi, secondo honore, secondo spirto, splendore, calore e vita del’universo, ricco ornamento del mondo e del cielo, guida e scorta de’ viventi cui il mio spirto hor quindi, hor ivi speculando indubbio

[1v] [p.1] tiene perla varia e incostante sua fronte, ma pur tengo io che sia corpo sferico, denso et opaco, e che per reflesso e opposto del re degl’astri, hor in alto et hor al basso alma chiarezza variamente grandi e si collumi al nostro emispero, facendo un picciol arco, mezo teso, adornandosi appieno secondo che da esso più o meno s’allontana, non già che questo gran sole ogni hor non infiammi et allumi la metà della sua faccia, e che l’un l’altro quasi consorti, componghino un medesimo corpo composto. Et anche s’è vero che questa luna senza il suo sole non sia luna, né habbia quel soccorso ch’a noi par lume, ma bensì, solo il sole, luna, sole, [2r] re, reina, guida, norma, honore, calore, splendore, spirto e vita: potrò dunquefors’io senza sole e calore, senza luna e splendore, senza vita e spirto vivere e indrizzare la mia debol vela del’ignoranza sovr‘il fiacchevile arbero della mia picciol barchetta dell’oscurità e imprudenza? Perposcia corteggiare quel felice e a meno lido del cupo e christallino arcipelago vostro, abbondevole d’alte scienze e rari costumi? Certo che no, ma per retto reflesso di questo vostro sì lucente sole e vaga luna, mancando verso il cielo il suo bel globo, concorrerà al mio inferiore emispero, e renderà chiarezza e il flusso e reflusso al mio golfo oscuro, e disnebbierà [2v] [p.2] il mio nebuloso orizonte et in tal guiza io inesperto scocchierò, e incognito della vera e reale navigatione delle scienze, prender possa da quei lucenti astri chiarezza, splendore, spirto e vita che così sarà mi secura scorta. Della mia transfiguratione e inspirando del suo soave zeffiro, mi transporterà a quel finale e destinato porto del suo imperio, colmo di ogni virtù, somma felicità e gloria. Poscia che tali virtù sono amabili e desiderabili perché tengono habito nella sua mente ben composta a segno di natura humana consentevole alla ragione, et una di queste è intellettiva come scienza e prudenza, l’altra è morale come liberalità e humiltà com’egli n’è copiosa. Hor dunque chiara mia luna, chiaro mio sole e fertile pianeta d’ogni mia salute, sappia che sono concorsi molti giorni ch’io qual fiera leone [3r] vivo (se ben con l’occhio custode dormo), col mio intelletto e ambitioso resto di reassummere e avvivare la mia antica e a voi dovuta servitù e osservanza che pur di sovente mi fui in sorte dato e conceduto da questa vostra chiara e vaga luna, e restai ancor favorito e alluminato da così bel lume, ond’io hor veggendo non pregiarmi di meritar con altro che con alcune dimostrattioni d’animo affettuoso, io tal hor paleso, osando quella prosuntione e prosupopeia che VostraSignoriapersuo consueto tiene e usa molte volte meco, e che suol porgere ad ogn’uno che vuol premere a cose d’ottima esperienza, giungo pertanto alluminato da questo vostro gran sole al’accessibil porto e al conformidabile effetto del’animo mio, dedicandogli e donandogli queste mie mal composte rime congiunte con la mia [3v] [p.3] pronta voluntà e reale servitù, ne mai creduta, per obbedire a me stesso e in parte al’obligo infinito che pernatura e perarte gli devo et perincitarla ad amare chi intrisicamente et senza fine ama e adora voi, non tralasciando per questo altra occasione di significargli con altri maggiori effetti l’osservanza e servitù mia, come anche non tralascerei s’io potessi quelle cose di maggior importanza e che sono in potestà vostra, e che maggiormente da me ogni giorno molto desiderate. Tra tanto riceve VostraSignoria questo picciol dono in segno del molto che si gli proviene, et emendi gl’oscuri e mal composti concetti, porgendoli chiare e soave con la vostra armoniosa voce e chiara luce, e gli rischiare con l’accesso splendore di vostre risplendenti raggi del vostro sole e luna, poiché quello che da questi e dalla sonorità de’ vostri [4r]costumi, attioni, parole e rare maniere sarà sempre chiaro e sempiterno, e perfine pregola a concedermi quando gli parrà tempo, parte di quella vostra da me bramata gratia, nella quale desidero haverci loco con riposo, e gli priego poi dal nostro signore Iddio ogni sua contentezza d’animo e felice stato, e gli bascio con ogni affetto le mani e facciogli ogni reverenza, pregandola quanto più presto a far ritorno dalla sua villa a Lucca, acciò io non resti del continouo e in tenebre e privato di sì bel sole e vaga luna, la quale se mi sarà intanto conceduto in sorte quando risplenderà a une delle vostre finestre verso la muraglia della città sul tramontare di questo sole, spero con la vista mia del’acuto desiderio di quazi scorgerlo e mirarlo, accompagnato con artifitioso [4v] [p.4] e favorevole occhiale, il quale mi sarà in parte sollevamento di spirto congelato in lacrime. Di casa alli otto maggio 1608.

Di Vostra Signoria Illustre

Obligatissimo e humilissimo cultore

L’academico oscuro e congelato in lacrime, ma ardente e infocato.

[5r]

O voi che siete sotto il freddo cielo,

Lontan dal’amorosa e lieta gente,

Per cui l’alma gentil si nutre in gelo,

A cui si volge chi d’Amor non sente.

Voi ch’a vostri occhi havete oscuro velo

E non vedete homai donna presente

Perché remoti siete a quel ch’io sono,

Ond’io col mio pensier di Voi ragiono.

In me di Voi ragiono e, s’alcun m’ode,

Non faccia al novo dir la mente sorda,

Ne fia ‘l biasimo di Voi, d’altri le lode,

Fia per l’alta ragion che ‘l ver ricorda,

E che ci mostra ogn’hor che pur men gode,

L’anima che di Voi si face ingorda,

Che trovandosi in Voi mercede,

Non può già mai saver quel ch’occhio vede.

[5v] [p.5]

Dunque ragion m’insegna e so ben dire,

Quant’è il vano operar de’ getti vostri.

Poca luce vi mena e fa sentire,

Perché convien basso desio si mostri,

L’alma di cui si veste vuol nudrire,

Per voi impara ne’ gelati chiostri,

Per voi piglia desio lontan d’amore,

Che là s’apprende dove è basso il core.

Quant’è vita per Voi noiosa e grave,

Vita non già, ma del bel viver morte,

Ben non vive colui che mai non have,

Per suo fero destin, amore in sorte,

Voi contr’il suo poder vi fate chiave,

E chiudete per lui le vostre porte,

Vostro folle pensiero a tal v’aiuta,

Che molto dee gradir, se quest’è vita.

[6r]

Deh! Se vedeste homai, tra lieti amanti,

Donne amorose e leggiadria con elle,

Deh! Se foste di lume a quei sembianti,

Per poter rimirar le cose belle,

Ben direste con Voi, noi fummo havanti,

Che venisser dal ciel benigne stelle,

Voi cambiereste vita a vita e sorte,

E chiamereste il viver vostro morte.

Ma perché ‘l ciel (sotto la cui fredd’ombra

Vivete voi) d’ogni virtù si spoglia,

E l’alma di pensier rapido ingombra,

Che fa degl’error suoi più ingorda voglia.

E perch’altro desio vostr’occhi adombra,

Che sol l’altrui tesor ogn’hor v’invoglia,

Simil forse pensier nel cor tenete,

Chi vi fa non veder quel che Voi sete.

[6v] [p.6]

Già non foste da Dio fatti men belli,

Ch’ugualmente ci fece in sua creanza,

Alma ci die’, ma voi dal ben ribelli

Vi feste sì che cambiaste sembianza.

Non cangiate hor pensier, sì come quelli,

C’hanno perduto il ben, fuor di speranza,

E che dietro a desir lor prime vanno,

Senza por mente al gran futuro danno.

Doppo la vostra vita oscura e vile,

L’alma sen va dov’habitar non piace,

E se ben è da Dio fatta gentile,

L’essere stata con Voi nel ciel dispiace,

Però discende a più tristo covile,

E con Voi quasi muor mai sempre e iace,

Così indegna del ciel gelata teme,

Che per indegnità si perde speme.

[7r]

Non già di speme colta e cor non lice

Agraditi d’amor che i dan desio,

E fan l’alma per lor alta e felice,

Traendola di stato basso e rio,

E ben si può chiamar vera beatrice,

L’alma che ‘l vostro oprar mett’in oblio,

E che merce di quei si sente al core,

Fida speranza di gradito amore.

Nasce negl’occhi lor sì vago lume,

Che fan d’ogni desio far di sé speme,

E s’ogni alma gentil per suo costume

S’innamora di quel ch’ogn’hor più teme,

E se par che sospire o si consume,

Ben dolce è il sospirar che più la preme,

Che da chi trae desio vuole speranza,

Sì che a cari d’amor la speme avvanza.

[7v] [p.7]

Questi ne sono a Dio sì dritte scale,

che speme danno altrui d’ogn’altra impresa,

Che più vede salvi, men passi sale,

Son la merce d’amor somma contesa,

Già non potete o Voi con le vostr’ale,

Giunger al loco ov’l’alma si pesa,

Ove si tien ragion de’ pensieri nostri,

Che tropp’è bella cosa agl’occhi vostri.

Vostra sembianza io chiamo il tristo augello,

che la notte gradisce e fugge il giorno,

E da raggi del sol si fa rubello,

E se per forza il vede l’ha in scorno,

E tra gl’altri i più bei crede esser quello,

Veggendosegli gir lieti d’intorno,

Chi ben si crede che ciascun l’adori,

E par erba mal nata tra bei fiori.

[8r]

Così Voi siete lassi et è ben degno,

Sia l’anime gentil, cosa mal nata,

Giamai non vidde il sol il vostro regno,

Però sì poca luce ancor v’è data,

Giamai non foste tratti fuor del segno,

Che vi pose statura in gliel creata,

Perché vince il poder, vostra natura,

Che n se diventa più ch’un ghiaggio dura.

In sé gioisce d’ogni stato rio,

E mai d’altro pensier non par che goda,

Quest’è il vostro voler, quest’è il desio,

Che tra ‘l vano operar stretti v’annoda,

Questa vi face ancor pozze in oblio,

Ogn’altro desiar che porti loda,

Quest’è Natura a Voi più amica e cara,

Amica più perché tra l’altre cara.

[8v] [p.8]

Quest’è del suo pensier sì dolce amica,

Ch’ogn’altra voglia al suo voler adegua,

Quest’è del bel costume altrui nemica,

A lui fa longa guerra e corta triegua.

Questa v’`e cara madre e vi nudrica,

Col suo poder a che fortuna segua,

Questa donna tra voi, e voi il sapete,

che sol del corpo suo, pur nati sete,

donna fu già tra l’altre donne bella,

E per lei si tenea di fiamma il core,

come di cosa che più si favella,

Per cui risorge ogn’hor gradito amore.

Ma tanto ai vaghi amanti fu rubella,

Ch’a lor colse la speme, a lei il valore,

E pria tanto potea con gl’occhi suoi,

Quanto donna gentil sa fare in noi.

[9r]

Costei venuta d’una in altra etade,

Ai bei tempi meglior si fe’ più fera,

Perché lasciato il pregio di pietade,

Si ritolse d’amor con l’alma intera,

E fe’ sì che giamai non fia beltade,

Vota di cortesia, gradita e vera,

Così dritta beltà che in donna sia,

Colma d’alto valor e cortesia.

Non conobbe il gran mal nel sommo bene,

Né quanto è dolce l’un l’altr’empio e fero,

Costei (sì come a chi mal vede avviene),

Che non può giudicar sol col pensiero,

Né sa qual più si lasci o qual si tiene,

Così seco uman tra ‘l folle e ‘l vero,

E se volta il desio dritto ad un segno,

Seco sen va quant’il suo lume è degno.

[9v] [p.9]

Non vede occhio tra noi qual più si miri,

Cosa che sia giamai dal sol veduta,

Vostro pensier non giunge ai bei desiri,

Di che l’alma amorosa si saluta,

Come volete Voi che ‘l ciel ne spiri,

In Voi, per Voi sol gloria è caduta,

S’è caduta è la gloria che dal cielo,

N’è data e sol per Voi, l’è posto un velo.

Gioia si perde sol empia mercede,

Di quella che di voi chiamata ho donna,

Quest’è vostra natura e ben si crede,

Che sia spirto che parli e porti gonna,

Fero et alto destin ch’a lei vi diede,

La fa del Vostr’ oprar fida colonna,

Saldo e duro sostegno a torne pace,

Così v’è dolce amica e più vi piace.

[10r]

Dolc’e più cara amica al’hor v’è quando,

Più crudeltà si trova entr’al suo petto,

Quant’ogn’hor cortesia più mette in bando,

E quanto contr’amor fa più disdetto,

Così fera nemica se pensando,

Gli vien altro desio nel cor ristretto,

Ma tanto buon peccato in lei non dura,

E ben può star tra Voi lieta natura.

Non regna huom’tra voi s’un sol pensiero,

Vago d’amor il cor gli prem o punge,

E le chiamate empio crudele e fero,

Facendol da tal ben sempre più lunge,

Togliendogli humiltà per farlo altero,

Ma se pur pecca, il suo peccato il giunge,

Che lascia per la dritta, la via torta,

Così di tal peccar la pena porta.

[10v] [p.10]

O che dolce peccar, che dolce inganno,

Dunque peccato fia sentire amore,

Deh! Sarà mai però quest’a me danno,

Tener che da begl’occhi in mezo il core,

Fere e crudi son quei ch’in vita stanno,

Sen la provar di donna il gran valore,

Miseri quei che l’alta luce prima,

Non veggon che tra l’altre pest’in cima.

Donn’è la bella luce et è pur mia,

Tanto quant’è il mio cor degl’occhi suoi,

Quant’è dolce il pensier ch’a lei sen via,

Dunque tornate alti pensieri in Voi,

Tornate che un sì folle vi disvia,

Che vi vuol trar dal ben ch’è pur di noi,

Venite a ragionar di quella luce,

Ch’è pur donna di me gradita e duce.

[11r]

Ohimè! Ch’amor, ohimè! Volea lasciarme,

Sol per ch’a ragion altro mi diedi.

Io difendo il suo impero con quel arme,

Che tu stessa ragion ben dritta vedi,

Contro a color la cui natura parme

Lontana pur da me, s’al ver tu vedi,

Se si deve pensar che donna bella,

Habbi poder in me quant’ogni stella.

Deh! Come potre’io qual cruda voglia

Trarmi dal dolce amato mio tesoro,

Che sento l’alma che di me si spoglia,

Pergir dove è colei cui sempre adoro,

L’ non mi fia il morir, non mi fia doglia,

Se l’alma si disparte e s’io pur moro,

Che se dal proprio vel vuol pur partire,

Ella se’n va dove vivrà il desire.

[11v] [p.11]

Così viverò che mai non more,

Chi d’un vago pensier l’anima veste,

Apra chi puote a quelle luci il core,

E non morrà giamai, s’elle fien deste,

Che quand’appaion coi bei raggi fore,

Senton si intorno al cor chiare e celeste,

E dando vita altrui con quel desio,

Che fa li offeso vel porre in oblio.

Quest’è la donna mia, suoi son que’ rai,

Che mi dan qui tra noi sì dolce vita,

Vita mi danno e non morrò giamai,

Se di tanto pensier l’alma è nudrita,

Tornate alti pensier, tornate homai,

Che l’alma dentro a sé sempre v’invita,

Sempre vi chiama e se talhor vi scoglie,

Pur mi raffrena e intorno al cor v’accogle.

[12r]

Già mi sento io chiamar, ond’ardo e tremo,

Che gl’è il dolce pensiero a me sì caro,

Io lo porto nel cor e più non temo,

Ch’hor lo farò più amico e men avaro,

E non è il foco di virtute scemo,

Né per farsi lontan fatto riparo,

Che pur credo trovar pietate al core,

Della mia donna, in cui non dorme amore.

Deh! Come potrà mai pietate tanta,

Scender dagl’occhi suoi nel’alma indegna,

Ohimè! Che chi di lei non parla e canta,

Non vuol esser d’amor né di sua insegna.

Chi non cogle i bei fior del’alta pianta,

Dolci e vaghi pensier, ch’al alme insegna,

Non sa quant’è virtù o leggiadria,

Né come alta beltà in donna sia.

[12v] [p.12]

Et io che col pensier fallace ed empio,

A difender amor mi diedi imprima,

E non vedea chi de’ sacrato tempio,

Né chi di sua virtù si sede in cima,

E pur sentia del cor far dolce scempio,

E l’alma consumar con sorda lima,

E della donna mia non m’accorgea,

Che senza dir di lei, d’amor dicea.

Lasso come si puote, ohimè! Come

Dir d’amor senza lei che’n vita il tiene,

Nasce dalla sua luce il vago nome,

Che lo fa dir amor e lo mantiene,

Ella il carea di dolci e d’aspre some,

Secondo che pietà nel suo cor viene,

Sì che non puote amor per sé sentire,

Senza che col desio la fa venire.

[13r]

Entrommi i raggi de’ begl’occhi al core,

Dei miei che son già pieni di desire,

E portan dolce ovunque io voglio amore,

E dove puote ancor l’alma sentire,

Così fan dentro schiera di dolore,

Se per altro desio voglion partire,

Così diventa amor benigno e fero,

Che nasce da chi togle e dà pensiero.

Così nasce in me amor che dà desio,

E da somma beltà nel’alma viene,

Tanta porta dolcezza lo cor mio,

Quanta beltà della mia donna tiene,

Così fatto è tra noi amor Iddio,

Così cinto è d’amaro e d’alta speme,

E tanto si può dir di sua ragione,

Ma che di donna sia servo e prigione.

[13v] [p.13]

Donna lo volge ove che gl’occhi gira,

E tiene in mano il fren di sua virtute,

L’alma ch’arde d’amor per lei sospira,

E per lei sente al cor le sue ferite,

E pur dietro le va che più la tira,

E alta e somma beltà vera salute,

Che gli fa obliar suo proprio velo,

E girsene col desio disciolta in cielo.

S’vede negl’occhi delle donne amore,

[.]ivi prende il poder de’ raggi suoi,

[.] ivi l’alta virtute, ivi il valore,

Così merce di lor discende in noi,

E non è già il suo pregio nel’honore,

Perché prima fui quelle, e amor poi,

Ma nelle luci lor beato siede,

Così per gl’occhi altrui, tutt’amor vede.

[14r]

Et è merce del’alta fiamma mia,

(Donna leggiadra a cui s’inchina ogn’alma),

Ogn’alma ch’amorosa e bella sia,

Porta del suo valor gradita salma,

Così pietate insegna e cortesia,

E tra l’altre si chiama luce e alma,

Nutrice d’ogni ben che può natura,

E morte d’ogni vita acerba e dura.

Non può dove costei l’ira o lo sdegno,

Come cosa del ciel pietosa e cara,

Come stella discesa in basso regno,

Per adolcir la nostra vita amara,

E per mostrar d’ogn’alta gloria il segno,

Ci aperse gl’occhi suoi, ch’ivi s’impara,

Che chi più può mirar la bella luce,

Vede più dritta via ch’al ciel conduce.

[14v] [p.14]

Hor che della mia dea ho detto imparte,

A Voi mi volgo a cui prima mi volsi,

A Voi che empir le bianche carte

Del vostro van oprar la lingua sciolsi.

E non mi fia già tolto ingegno e arte,

A dir di costei ancor ch’in lei n’accolsi,

E se vorrò mostrar contrario a voi,

E or là è ch’io dica pur degl’occhi suoi.

Quanta per voi del ciel luce s’nasconde,

Tanta per lei nel secol nostro appare,

Voi descendeste nelle gelid’onde,

Là ove il sol giamai non può calare,

E toglieste il pensier dove s’infonde,

Valor e cortesia che ‘l ciel sa dare,

Et ella qui tra noi venuta in terra,

Hebbe quel che per voi si chiude e serra.

[15r]

Hebbe di quanto il ciel amico rende,

E fu di tanto ben gradito seggio,

In lei gioisce amor, da lei si prende

L’alto desio ch’a Voi schernir pur veggio.

Dunque è vostra merce se ‘l ciel contende,

Quel ben a Voi ch’ogn’hor per vita chieggio,

Merce dunque di Voi la dolce vita,

Fugge da quel pensier che l’ha schernita,

Vostr’è ‘l folle pensier e da voi viene,

Sicome da costei dolce e soave,

Perché contrario a Voi desio si tiene,

Che fa il vostro peccar parer più grave,

Non par peccato a Voi da cui diviene,

Ma chi del vostro operar pensier non have,

(Come chi ‘l suo fallir per sé non vede),

E a chi lo può veder giamai non crede.

[15v] [p.15]

Ben io pur veggio che m’insegna amore,

Quant’è ‘l vostro fallir, quant’è il mio bene,

Anima volta al mio sommo signore,

Porta di gir al ciel verace spene,

E ogn’alma tra Voi quasi n Voi more,

Che chiusa in freddo ciel, fredda ne viene,

Così fa i suoi pensier gelata ancora,

E così more e mai non s’inamora.

Miseri dunque Voi che sì lontani

Siete da que’ begl’occhi ov’amor siede,

Sono i begl’occhi suoi, vie più che humani,

Che pur del ben d’Iddio ci acquiston fede,

C’acquiston gloria e tutti i pensieri vani,

Mostrano a quei che nulla per si vede,

Così mostrar porriano agl’occhi vostri,

Quel che convien sol col mio dir vi mostri.

[16r]

Ma come potrò io tra di me scesso,

Sì dolce stil ch’agguagliar l’opra possa?

Se pur quel ch’in me sento m’è concesso,

Quand’a viva pietà madonna è mossa.

E la parte del ver si teng’appresso,

Così falsa credenza avvinta e scossa,

Mostrerò forse a voi quant’è virtute,

Honor, dolcezza e pregio di salute.

Ma troppo al poc’ingegno io m’assottiglo,

E troppo in darno a chi non m’ode, parlo,

In darno spendo, ohimè! Tanto consiglio,

Che fia lume a ciascun che può provarlo,

Ma volendo ancor dir con quei m’appiglo

Ch’hanno lume al veder virtute a darlo,

Che son fatti da Dio di vita specchio,

Di morte, essilio, del bel dire orecchio.

[16v] [p.16]

Ben’ho chi m’ode e forse al cor gl’aggiunge,

Chi di dolce desio l’anima adorna,

Forse tal m’ard il petto ch’altrui punge,

Che spess’un sol pensier in dui cor torna,

Ben può la donna mia ben può da longe

Beata l’alma che con lei soggiorna,

E beato son io ch’ogn’hor la veggio,

E debe gl’occhi suoi, m’ho fatto un seggio.

Ma ben s’io vo mostrar la sua virtute,

Trovo chi porge al’alto dire orecchio,

Dico di quelle luci che vedete,

Si fan degl’occhi altrui sì chiaro specchio,

Deh! Come porgon vita e dan salute,

Deh! Com’in lor mirar tutto mi specchio,

Ch’io pur mi sento in lor tutto e mi veggio,

E di tant’alto ben meco vaneggio.

[17r]

Meco di tanto ben tal hor ragiono,

E che sia ‘n me giamai creder non posso,

Tropp’è bella costei, io troppo sono

A tant’alta beltà di virtù scosso,

Così dico e di nuovo a lei mi dono,

Perché da tal pensier non sia rimosso,

Così ritrovo in lei la vita mia,

Così vedo che in me tanto ben sia.

Così meco di voi miseri dico,

Di voi che conti amor vi fate alteri,

Dunque chiuso v’è il ben dov’io nudrico,

Tanti d’ogni gioir vaghi pensieri,

Dunque quel ch’io più bramo v’è nemico,

Nemici dunque al ciel voi erudi e fieri,

Schivi del ben oprar, sommo desio,

Voti d’ogni valor, colmi d’oblio.

[17v] [p.17]

Non son tra voi! Non son! Ma col pensiero,

Quasi con Voi m’agghiaccio indi mi scaldo,

Tal’hor per prova in me divengo fero,

Per veder qual desio mi trova saldo,

Fassi il più bel desio sempre più altero,

E al suo desiar mi fa più caldo,

Si ch’io dico con Voi securamente,

Del vostro giaccio e di mia fiamma ardente.

Non mi trae il pensier vostro da desio,

Vago d’amor però securo parto,

Ma se per l’un pensier fuss’in oblio,

L’altro senza veder senza provarlo,

Non sare mai pensier ver me e pio,

Se in più parte non fusse da piegarlo,

Ch’il più folle si vede è ‘l più gradito,

E l’un si mostra al’occhio, e l’altro al Dio.

[18r]

E così nasce l’un del’altro specchio,

Come talhor si vede il ben nel male,

Et è costume pur antico e vecchio,

Veder le parti e l’uno e l’altro eguale,

Ma perch’alla ragion, sordo l’orecchio,

Per Voi si fa tanta ragion non vale,

Perché di chiaro a Voi si face oscura,

Dandovi sol quanto vi die natura.

Folle chi da natura il suo ben vuole,

E non segue altro stil né cerca altri arte,

Face natura un bel l’altra si duole,

D’haver senza cagion la peggior parte,

Voi ch’havete per lei quel c’haver suole,

L’alma che da ragion tutta si parte,

Gioite donque ch’ugualmente sia,

Tra le fere e tra voi natura pia.

[18v] [p.18]

Sogliono gl’animai che sono in terra,

Di ragion privi al men farsi d’amore,

E lasciar la fierezza e dolce guerra,

D’amor sentir soavemente al core,

Che pur fiamma gentil lor petto serra,

Pur seguon chi di lor si fa signore,

Pur mostran che tra lor virtute sia,

Gratia, pace e amor, con cortesia.

Deh! Come gl’Augelletti al novo giorno,

Destan sol per amor, soavi canti,

Deh! Come si tra quei lieto soggiorno,

Quando scherzando alhor si fanno amanti,

Deh! Come l’un col becco farsi adorno,

Si vede e l’altro a la sua luce havanti,

E come poi tra lor guerra si facci,

Come chi segua l’un l’altro minacci.

[19r]

Questo tal hor nella stagion men cruda,

Si vede e quando i fior ridon tra l’erba,

Quando la terra per le piante suda,

Che con dolce sudor si disacerba,

Quando la violetta esce fuor nuda,

Che tra gl’altri bei fior si fa superba,

Quando Febo s’inalsa al nostro cielo,

Che i bei giorni rimena e scaccia il gelo.

Vedesi al’hor ogn’anima gentile,

Co’suoi vaghi pensier guidar amore,

Sentesi aura soave e sì sottile,

Che rinovella altrui desio nel core,

Fassi ogni donna altera più humile,

Che per poca humiltà cresce l’ardore,

Al hor gioisce amor, al hor si sente,

Farsi la sua virtute in noi possente.

[19v] [p.19]

Al’hor le vaghe donne e pellegrine,

Vanno, e chiamando i lor più cari amanti,

Traendo con lor voci alte e divine,

Dolci sospiri e per pietà tremanti,

Stampando per le piagge e le pruine,

Co’begl’occhi ch’al sol si fan sembianti,

Liete cogliendo i fior, cogliendo l’erbe,

Più belle e più pietose e men superbe.

Men superbe e più belle al hor si fanno,

Le vaghe donne e d’humiltà già piene,

E quanto più pensose in vita stanno,

Tanto più corre amor per le lor vene,

E quanta più pietà nei lor pett’hanno,

Tanta crescer beltate in lor conviene,

Che non è bello il bel ch’è in donna fera,

Ma con dritta pietà bellezza è vera.

[20r]

Non è vera beltà se cruda voglia,

In bella donna altramente siede,

Così d’ogni valor se stessa spoglia,

Quella ch’è più tra noi senza mercede,

Così chiusa bellezza è più che doglia,

Tra le donne d’amor se al ver si crede,

Che quant’è più gentil donna alt’è bella,

Tanto si mostra altrui quant’ogni stella.

Ma il dolce tempo e la stagion gradita,

E il cantar degl’augelli e lieti fiori,

E quel’aura gentil che l’alme invita,

Con soave spirar di vaghi odori,

E l’ascosa vecchiezza e la fiorita,

E ta ch’infiamma altrui di dolci amori,

Fanno le donne sagge ogn’hor più belle,

Liete apparir e sol pietà con elle.

[20v] [p.20]

Queste son donne a cui natura diede,

Di quanto tolse al cielo e qui tra noi

Sola di Dio, e di colei mercede,

Che tanto m’infiammò con gl’occhi suoi,

E che incima tra lor beata siede,

Cui natura pria fece e l’altre poi,

E come buon pittor che per usanza,

Piglia dal bel paese la sua sembianza,

Venut’è qui tra noi questa bel’alma,

Natura fece poi l’altre ancor belle,

A lei diede l’honor, a lei la palma,

Per far lei sol e poi l’altre le stele,

Donne fur l’altre et ella donna e alma,

Nutrice sol della beltà ch’è in quelle,

In quelle che pietose ai loro amanti,

Ti mostran con parole, opre e sembianti.

[21r]

Quest’è la schiera al suo favor eletta,

Donne tra noi alme beate in cielo,

A cui gratia giamai non è disdetta,

Per far più cara altrui l’amico velo,

Amico altrui però ch’in lor ristretta,

Si trova ogn’alma d’amoroso zelo,

E chi vuol d’ogni ben fida colonna,

Ami et adori una leggiadra donna.

Beato me che più be[.]r altrui,

Mi fece con sue dolce alte parole,

Chi mi disse io son preso et so da cui,

Nasce questo mio mal che mai non duole,

Beato il loro ov’io beato fui,

C’haver più non si può né più si vuole,

Ch’hebbi tanto di ben quant’a me piacque,

Ch’io sol per lei et ella per me nacque.

[21v] [p.21]

Questa mia donna ne’ suoi più verdi anni,

Lieta m’apparve e negl’occhi have amore,

Io vago di veder con dolci inganni,

Mi senti che begl’occhi entrar nel core,

A lei mi diedi e sotto gl’altrui panni,

Velai la fiamma mia per lo suo honore,

Che s’io mostrava il cor nel altrui petto,

Ella sola il tenea, legato e stretto.

Questa sola vincea gli sdegni e l’ire,

Quest’hor mi fa d’ogni virtù più amico,

Da lei prendo il voler, da lei l’ardire,

Che mi fa dir quel che per me non dico,

Questa sola fa vivo il mio desire,

E sì dolce lo fa ch’io lo nudrico,

Però mi tengo in pregio e non mi sdegno,

Vedermi dato a quei begl’occhi inpegno.

[22r]

Io son di quei begl’occhi e non è vana,

La cagion che per lor pegno mi diedi,

Tu ‘l sai santà beltà ch’alma villana,

Non regna dove tu beata siedi,

E che festi colei vie più ch’humana,

E fai gentil ancor chi tu non credi,

Gentil ancor mi fai, per far costei,

Lieta e vaga mostrarsi agl’occhi miei.

Fannosi gl’occhi miei de’ suoi pur vaghi,

E portan poi al cor dolce novella,

Così del suo valor presaghi,

Mostrami dentro ogn’hor donna più bella,

Io che non trovo cosa che gl’appaghi,

Sento l’alma ch’altrui si face ancella,

Così l’altrui virtute in me sa stare,

Ch’ivi resta il valor dov’ei può entrare.

[22v] [p.22]

Ma non puote già in voi che duro ghiaccio,

Tenete al petto per più saldo scudo,

In van disserra l’arco, in vano il braccio,

Per darvi amor o corvi il petto nudo,

In van tende costui quel dolce laccio,

Che disciolt’è da voi col pensier crudo,

Col pensier folle e con viltà di core,

Sì ch’intrar non può in voi tanto valore.

Tanto dolce pensier gioir non puote,

Dove gioia si perde e dorme amore,

Dove si sgombra il ben, dove si scuote

Virtute e leggiadria con dritto honore,

Dove che per motor del’alte rote,

Si trova l’alma di suo stato fore,

Che dove per merce tal ben non s’have,

Sentir già non si può quant’è soave.

[23r]

Quant’è dolce e soave a me il pensiero,

Che mi dice il tuo ben sol per te viene,

E mi mostra la via dritta e ‘l sentiero,

Di gir dove tal’hor giunge la spene,

Ch’io lo chiamo desio ch’in vista altero,

Si mostra e sol di me gran parte tiene,

Di me si face scudo et in me regna,

E per la sua virtù, virtù m’insegna.

Questi mi fan men dura al ciel la strada,

E mi fa pur veder quel ch’io non veggio,

E ciò che gl’occhi et alla mente aggrada,

Tant’ho per lui che già per me non deggio,

E ogn’h che pensoso in vista vada,

Tanta più vuol costui dentr’al suo seggio,

Perch’ei n’ha pensier poi e mostra fore,

Come dentro si desta e vive amore.

[23v] [p.23]

Passa lo suo splendor per gl’occhi altrui,

E dove sta memoria ivi s’apprende,

Così sommo desio nasce da lui,

E da diletto dov’ei più contende,

Et è chiamato amor gradit’in lui,

Si trova più virtù da chi più intende,

E molt’in gentil cor fa dimoranza,

Ma non si può di lui mostrar sembianza.

E il ben si sente in noi qual hor si vede,

Cosa ch’agl’occhi sia gradita e cara,

E come di lui nasca alta mercede,

Vien da donna che sia non di sé avara,

Così dai bei pensier in cima siede,

Così per lui virtute ogn’alma impara,

Perché l’alta virtù da desio viene,

E pur chiamar costui desio conviene.

[24r]

Non che non sia senza donna il desio,

Ma sì dolce e sì vago esser non puote,

Che per donna gradir si face Iddio,

E volve e tempera e il più gentil percuote,

E con altro pensier mett’in oblio,

Virtute e la ragion del’alma scuote,

Che per oro gradir o per argento,

Non è sì bel desio che dia contento.

Ma dietro a tal pensier segue la voglia,

Del’altrui posseder con frode e inganni,

Così d’ogni ragion sé stesso spoglia,

Quei che vuole il suo ben per gl’altrui danni,

Così per arricchir n’areca doglia,

Doppo molto voltar, doppo molt’anni

Che’l fren della ragion giuse esser suole,

E non si dee voler più che’l ciel vuole.

[24v] [p.24]

Che chi ci dà il poter, chi ci dà il lume,

Chi ci tien vivi e chi ci regge e copre,

Vuol per lo sommo suo santo costume,

Ch’ugualmente tra noi tal ben s’adopra,

Non ch’un per arricchir l’altro consume,

Come chi copre se ch’ogn’altro scopre,

Ma giust’è ad ogni oprar ci porge l’ali,

Perché sien qui tra noi le parti ugali.

Ma non son ne mai fien pari le voglie,

Per l’ingorda tra noi sì male avvezza,

Che tanto have di ben, quanto più accoglie,

Del ben altrui chi la ragion disprezza,

Chi lascia il poverel, misero in doglie,

Che pur la vita sua com’altri apprezza,

E se fosse tra noi pari il pensiero,

Non si vedrè quant’è dal falso al vero,

[25r]

Se voi che sete, ohimè! D’amor nemici,

Facciasi amica ai pensier vostri ogn’alma,

Non si vedrè giamai l’alte e felici,

Che son fatte da Dio di gloria palma,

E son alme tra noi di ben nudrici,

E ci traggon dal cor noiosa salma,

Che se foss’indi Voi vostra mercede,

Non si vedrè quel ben ch’ogn’hor si vede.

Non si vedrè del ciel la strada aperta,

Che con dritto operar sempre si mostra,

Anzi chiusa parria, noiosa e erta,

Ad ogn’occhio mortal per merce vostra,

Merce di Voi sempre sarà coperta,

Che non potrè mostrar la gloria nostra,

La gloria che da Dio dritta discende,

A chi le belle sue opre comprende.

[25v] [p.25]

Dio per mostrar a noi virtute intera,

Ci diede il lume a rimirar bellezza,

Per far l’alma gentil di cruda e fera,

Per trar del petto altrui falsa vaghezza,

Mandò la donna in cui beltade vera

Si scoprese tra noi che più s’apprezza,

E più si brama e bramar deve ancora,

Chi con dritto pensier mai s’innamora.

Mandò quella genitl anima bella,

Che per alto destin donna fu mia,

Scese beltà del ciel sola con ella,

Virtù, forza, et ardir con cortesia,

Hebbe sommo poder sovr’ogni stella,

Rara beltate e rara leggiadria,

Questa ci diede Iddio perché tra noi

Foss’il lume del ciel per gl’occhi suoi.

[26r]

Così tra noi tal’hor chiaro si vede,

Tutt’il ben che nel ciel trovarsi spera,

Cagion di que’begl’occhi e pur mercede,

Di quella in cui beltà s’è fatta altera,

E tant’è ben tra noi quant’il ciel diede,

Di bene a lei che fu di luce intera,

Così merce della mia donna il cielo,

Mostra la sua virtù dentr’ogni velo,

Cade virtù dal ciel per gl’occhi belli,

Tant’io ne’n volo e intorno al cor mi gira,

Ma non può tal virtù non puote in quelli,

Che fuggon chi d’amor giamai sospira,

E Voi sete a costei sempre rubelli,

Ov’ogn’alma gentil per gratia aspira,

Dunque caro v’è il bene che vi si nieghi,

Poiché non è virtù che a sé vi pieghi.

[26v] [p.26]

E s’io dico con voi, altri m’intende,

Altri m’ascolta e di più pregio m’ode,

E se lingua tra voi tal’hor mi offende,

In dir ch’oscuro sia, altri sen gode,

Perché chiara ragion mai non comprende,

Chi non sente parlar delle sue lode,

Ma pur dic’io si ch’a ch’intende piacci,

E non è gente che tra voi s’agghiacci.

Anzi vi’è più che stral veloce vanno,

In parte ov di voi l’ombra non sia,

Questi sono i beati che si stanno

Pensosi e lieti in dolce compagnia,

Pensosi che per pegno il cor dat’hanno,

Lieti, trovando ogn’hor più cortesia,

Lieti sol per virtù di quella fiamma,

Ch’ogn’anima gentil per gratia infiamma.

[27r]

E a quei poi rendo ogni ragione e dico,

Che quel ch’è chiuso a voi tutt’è lor chiaro,

Però non parlo in darno o m’affatico,

Né in danno del mio dir non mi fo avaro,

Se tanto sono a quei più caro amico,

Quanto più contro a voi trovo riparo,

E quanto di ragion mi fo sostegno,

In difender amor sempr’è il suo regno.

Lo sa chi ‘l vede e chi mi porge acta,

Con le sue proprie man per farmi honore,

Sa ben la donna mia ch’ogn’hor mi invita,

(Vaga di ragionar sempre d’amore),

Come degl’occhi suoi son calamità,

Che tirò per virtù la luce al core,

E come dolce mente in amor viva,

E come di lui parli e canti e scriva.

[27v] [p.27]

Ma non bisogna qui far fede a voi,

Come dolce il servir per donna sia,

O come per amor regni tra noi,

Virtù, gratia e valor con leggiadria,

O come dolci sieno i raggi suoi,

O com’entrino al cor o per qual via.

Che non si può giamai render salute,

Ove non vive amor, gratia o virtute.

Dunque io non posso a Voi mostrar quel bene,

Che della donna mia nel cor mi scende,

Che da troppo alta e bella casa viene,

Però nel cor a Voi mai non s’apprende,

Ma di tanta ragion porto una spene,

D’acquistar gloria a chi virtute intende,

E a quella sì gentil gradito honore,

In cui non dorme, anzi gioisce amore.

[28r]

Poiché l’alto poder di donna bella,

Non v’asconde nel cor fiamma gentile,

Poiché non puote l’amorosa stella,

Quando ritorna a noi col dolce aprile,

Poi se non sa giamai vincervi quella,

Ch’è sovr’ogn’altra d’ogni stato humile,

Mal potrè io per nuovo dire a Voi,

Mostrar virtute senza gl’occhi suoi.

Deh! Chi mi die il saver, chi mi fie acta,

Chi mi fe incominicar, chi mi fa ‘l fine,

Furon le luci sue dove nudrita,

Tenni tanta ragion dove vicine,

Tengo le rime mie che prendon vita,

Come dal sol le stelle più meschine,

Deh! Come senza la mia donna deggio,

Mostrar virtute a Voi, se a lei ne ghieggio.

[28v] [p.28]

Non si vede al mio dir quella bellezza,

Che per donna mirar tal’hor si sente,

Né per soave stil tanta dolcezza,

Quant’a chi de’ begl’occhi sta presente,

Che tanto il mio parlar mai non s’apprezza,

Quant’un sguardo gentil, vago, e possente,

Però credo che che’n darno ogn’opra sia,

Che’n mentr’io parlo ogni ragion va via.

Ma è in darno a chi bei detti honora,

A chi tanta virtù per pregio ascolta,

A chi per bel desio mai s’inamora,

A chi tien l’alma d’un bel laccio involta,

In darno è il ben oprar per quei ch’ogn’hora,

Senton l’alma d’amor leggiera e sciolta,

Come voi che nudrite in ghiaccio il core,

Lontan dal bel paese ov’arde amore.

[29r]

Perch’io mi rendo al mio già stanco stile,

Che per troppo fallir meco si duole,

Meco tal hor si duol e ha per vile,

D’haver perduto in voi canto parole,

Ohimè! Che troppo, ohimè! S’è mostrò humile

Entrar tra voi dove più star non vuole,

Pur per vergogna ancor regge la penna,

Che di cader tra via pensosa accenna.

Al fin dic’io che chi non segue amore,

Non aspira al gioir del’alto regno,

E chi non apre ai suoi bei raggi il core,

Ben è tra noi del viver nostro indegno.

Chi non rende a costui gradito honore,

E non gli porge l’anima per pegno,

Non può saper come beata in cielo,

L’alma sen va lasciando in terra il velo.

[29v] [p.29]

Voi se m’udite pur vedrete ancora,

Come per vostro ben stanco la mente,

Forse saprete che chi s’inamora,

Tant’ha di ben, quanta più fiamma sente,

Forse che parte di quel foco alhora,

Sentirete nel cor tant’è possente,

E forse ch’al mio dir porrete orecchio,

Ch’oscuro non vi fia, ma chiaro specchio.

Hor qui vi lascio e con Voi resti amore,

Che per la sua virtù vi scaldi il petto,

Entrino i raggi suoi nel freddo cuore,

Che l’alma non farà tanto disdetto,

Io così prego lui con quel valore,

Ch’io ho portato e porto al cor ristretto,

Che’n vece del mio dir resti con voi,

E rompa il ghiaccio co’ bei raggi suoi.

SONETTI

[30r]

Sonetto

Questo che gl’occhi abbaglia e l’alme accende,

Se così dir conviensi, angelo humano,

Col lampeggiar del riso humile e piano,

Sovr la fuga del mio duol intende,

Col seren poi degl’occhi ov’amor tende,

D’hor in hor l’arco e mai non tira in vano,

Purga il mio cor d’ogni desio non sano,

E più m raddolcisce ove più splende,

Ma quel che penetrò fu la divina

Sua voce e quel soave alto concerto,

Che fa dell’alme altrui dolce rapina,

Se voci humane son queste ch’io sento,

Che paradiso in terra mi destina,

Amor, che pace eterna e che contento?

[30v] [p.30]

Quella ch’al’ombra e al sol ne’ miei sospiri,

Chiamo le cui divine alte chiare opre,

Folta nebbia del mondo non ricopre,

Ne può tempo involar fin che ‘l sol giri,

T’adorna hor di smeraldi e di zaffiri,

Ambe le sponde o serchio ed inte scopre,

Le glorie occulte e sol par che l’adopre,

Mille accender d’honor caldi desiri.

E mentre io penso al suo dolce sereno,

Di così folte tenebre spogliarmi,

Ella altrui riccamente al cielo scorge,

Ma perché co’ impoverisca e mi disarmi,

Di gioia non fia mai che venga meno,

La speranza ch’ogn’hor più ardita sorge.

[31r]

Lasso ch’al mondo come n’andavo altiero,

Spezzando la faretra, i strali e l’arco,

Col qual mai non si vidde a ferir parco,

Huomini e dei, il garzon crudo e fiero,

Quand’ei m’assalse fuor di ogni pensiero,

Io disarmato ed egli armato al varco,

De’ bei vostr’occhi donna ond’io vo’carco,

Di dolcissimo amaro e più non spero,

Dal cui chiaro e divin alto splendore,

Fui preso e vinto e in tanti lacci avvolto,

Ch’io non spero giamai d’uscirne fuore,

S’adunque m’hai di libertà sepolto,

Non te n’andar fallace e altiero amore,

Che nulla si credea senz’il bel volto.

[31v] [p.31]

Amor, poiché di lui a me non cale,

Entro ne’ più bei lumi si nasconde,

Che mai creasse il ciel natura e l’onde,

Mi segue e in questa guisa poi mi assale.

Onde traendo un amoroso strale,

Mi punge il cor di piaghe sì profonde,

E nelle belle chiome crespe e bionde,

Il lega si che più fuggir non vale.

Onde poi che di me la miglior parte,

M’ha tolto per mio male e m’allontana

Dal chiaro sol che mi dà vita e morte,

Ahi! Adversa fortuna ahi! Dura sorte

Senz’alma vivo ed è pur cosa strana,

Ch’ei può quel che non può natura e arte.