Discorso Primo di Giovanni Ciampoli

Discorso primo

Si esamina la cagione della investitura delle due Sicilie, data in Napoli da Innocento Secondo Pontefice a Ruggiero Guiscardo, usurpatore vittorioso.

Capitolo Primo

Le mutationi dei principati grandi non sono materie di pochi discorsi. Curiosità specolativa, io m’assicuro che non ti parerà fatica il fermarti a nuovo spettacolo in questi teatri. Propongo un portento di politica con larva d’iniquità. Pare che nell’ introdurlo la iurisprudenza si confonda, la giustitia si svergogni e la religione si scandalizzi. Udite: con principio di mala fede, senza prescrittione di tempo legitimo, un vincitore intruso in un regno tradito, maledetto dalla Chiesa Cattolica, chiede nel colmo delle tirannie benedittioni dalla santità e titoli dal Vaticano, e gli ottiene. Se la calunnia non sa avantaggiarsi in un fatto tale, stenterà pur assai ad accappare migliori occasioni dove ella possa vendere per zelo la malignità. Hora noi ingegniamoci di serrar la bocca alle maledicenze {1v} con mostrar la giustitia delle cagioni. Più d’uno accidente simile s’incontra nel progresso dell’istorie. Io qui risolvo di esaminar tutti gl’altri in un solo, dove quelle oppositioni compariscano, e più sensate, e più galiarde.

Capitolo Secondo

E leggo bella scena questa meditatione, e conduco i pensieri contemplativi nella regia di Napoli. Ascoltate. I saracini d’Arabia fino nell’anno 817 havevano usurpato la Sicilia all’Imperio greco. Navigò poi la tempesta dell’armi felici per quel breve traghetto ad inquietarlo nell’Italia troppo vicina. Con le invasioni poco interrotte di due secoli intieri lo havevano ridotto a grande estremità ancora in quelle provincie che all’hora si dissero Sicilia di qua dal Faro, et Roggi sono Regno di Napoli. Non vi si potevano più sostenere con le proprie forze i principi et i magistrati. Dalla Francia settentrionale intorno all’anno mille quaranta vi arrivò, o chiamatavi in soccorso, o condottavi dal caso, una copiosa e brava soldatesca di guerrieri normanni. Imaginatevi con che animo ella vi si ricevé dalla Grecia spaventata. Dei Normanni la fama era trionfale nell’Europa, il valore si era non molti anni prima esperimentato in Salerno. Parve propriamente che dalle militie del cielo vi fussero inviati {2r} quei destruttori dei Saracini. Ma con che bel manto di prosperità passeggia tal hora sopra i regni l’esterminio! Questi soldati stranieri assai presto vinsero gl’inimici ma poco doppo scacciorono ancora gl’amici. Havendo combattuto come difensori vollero restarvi come padroni e l’effetto fu che l’Imperio greco da questi aiuti tanto graditi s’esterminò per sempre d’Italia. Preda così vasta si scompartì in varii principati ai condottieri più benemeriti. La famiglia dei Guiscardi fu nome di gran superiorità nella natione vittoriosa et ella vidde in poco tempo a due soli fratelli ridursi o per heredità o per violenza le iurisdittioni di tutti gl’altri parenti e compagni. I nomi loro non mai tacciuti dalla fama sono: Ruberto, duca di Puglia e Calabria, Ruggiero, conte di Sicilia. Questa nova potenza dei Normanni regnanti fece provare in quella vicinanza ai pontefici gran contrarietà di fortuna. Empi nemici et anco religiosi difensori gli esperimentò la Chiesa, dalla quale se furono prima deposti con le scommuniche, furono poi anche investiti con le benedittioni. Nicolà secondo infeudò a Ruberto quel ducato di Puglia e Calabria che già si possedeva da lui, acciò egli ne godesse il dominio con giustitia. A Ruggiero quella contea di Sicilia che si usurpava dai Saracini, acciò egli andasse a pigliarne il possesso con {2v} la vittoria. A voto sì pio non mancò l’effetto felice. Ruggiero vinse, regnò e poté lasciare la Sicilia per patrimonio a Ruggiero secondo, suo figlio.

Capitolo Terzo

Arrestiamo il discorso intorno a costui solo, nel quale la fortuna unì presto tutti quei principati normanni. Spirito insatiabile acerebbe l’heredità con la violenza. Mentre il giovane nipote era in Costantinopoli, egli servendosi della tutela per tradimento, gli usurpò il ducato di Puglia e Calabria. Insignoritosi così dell’una e l’altra Sicilia, giudicò che ad un tanto monarca non convenisse titolo di minor maestà che quello di re. Ma riconoscendo quei regni da sé solo non volle da altri mendicare quel vocabolo. Occorso in quel tempo il famoso scisma fra i due principi romani, Innocentio Secondo Pontefice et Anacleto Secondo Antipapa, Ruggiero adherì alla fattione scommunicati e dall’intruso apostata fece canonizzarsi il titolo regio. Innocentio per reprimerlo gli concitò contro l’imperatore Lothario Secondo et incorperò in mezzo a quelli stati un principato todesco. Però poco doppo mancò l’assistenza dell’imperatore, successe la sconfitta a quel nuovo duca e s’incrudelì la persecutione contro al pontefice. Doppo va - {3r} rii accidenti parve necessità ad Innocentio il dar calore alla guerra con la presenza pontificale. Qui occorsero due accidenti memorandi. La causa giusta parve condannata dal cielo all’infelicità e dalle miserie germogliarono i trionfi. Nelle pianure sotto Monte Cassino il principe di Taranto poté nell’anno 1139 con insidie prosperate offerire al re suo padre il papa con tutti i cardinali per suoi prigionieri. Nondimeno si condusse Innocentio in Napoli più tosto in forma di trionfante che di catturato. Se gli dava l’adoratione ma non se gli restituiva la libertà. Si negotiavano fra tanto li trattati della concordia, però doppo grandi ossequii di parole speciose la conclusione effettiva era questa che Ruggiero non lo lascierebbe libero se egli non rimaneva assoluto.

Capitolo Quarto

Hora e qual risolutione doveva prendersi in una urgenza tanto stravagante? Consigli contradittorii si proponevano dalla necessità. Partasi chi non ha gusto di questa udienza. Causa tanto memorabile mi si rappresenta con sì viva immaginativa dentro alla testa che volendola hora esaminare io veggio quasi trasformati in quei personaggi i miei pensieri. Comparisca la verisimiltudine a fare {3v} visibile in tanta distanza di tempo la verità. Chiama il custodito pontefice i cardinali imprigionati e sopra sì gran deliberatione intima un concistoro in quella regia che era carcere. S’introduce da una parte una dotta congregatione di theologi che in quel gran consiglio pretende di far prevalere la maestà del pontificato. Mandano dall’altra parte le due Sicilie una ambasciaria di principi commissarii per stabilire in sì gran momento la perpetuità dei publici interessi. Hora da un pontefice che antepone la conscienza alla vita si dà prima l’udienza al confessore che agli statisti. Parlandosi d’Innocentio Secondo che professava tanta domestichezza e doveva tanti beneficii a S.Bernardo io vedo moversi nella presente meditatione un fantasma che con habito di monaco cisterciense e con lo spirito participato dal suo patriarca si genuflette avanti al pontefice e parla così.

Capitolo Quinto

Se Christo fu crocifisso per salvare il mondo e noi doviamo prima lasciar perire mille mondi che tornare a crocifigger Christo. Son certo che questo è il senso della Santità Vostra et ella intende meglio di me che per la parte degl’huomini Christo si riconficca sopra la croce, quando la ragione si subordina all’interesse. Quando s’incontri {4r} questo pericolo io conosco nella Santità Vostra tanta latitudine di spirito che in questo riguardo ardisco assomigliare la bontà pontificia alla potenza divina. Nel cospetto d’ambidue è tanquam stilla [.]oris antelucani l’universo dei principati terrestri. Proporro solo le ragioni della giustitia, senza la quale non si trova in terra utilità alcuna che non sia una fraude terminabile in esterminio. Il punto della presente consulta è questo. Ruggiero, preteso re, domanda al Innocentio catturato pontefice assolutione et investitura. Considero tre cose il supplicare, il supplicato e l’intentione.

Capitolo Sesto

Quanto al primo, Ruggiero è principe di natione normanda di famiglia Guiscarda. Radix peccatrix, benchè illustre. Natione che significando nel vocabolo di nort man, huomini d’Aquilone, ha fatto vedere a tanti regni d’Europa verificato nelle sue tirannie il vaticinio che ab Aquilone pandetur omne malum. Famiglia, a cui la fortezza fu consigliera di tradimenti, che si ribella alla natura per fare una rapina, che ostenta come privilegii di potenza le scommuniche di Roma, ne lascia forse dubitare in Italia l’Imperio di Grecia distrutto, il territorio della Chiesa saccheggiato? Ecco le opere che han saputo fare {4v} quelle mani nomanne, victoria et fide praestantes, alle quali si diedero le spade in questi paesi per difendere a Costantinopoli il dominio e conservare a Roma il patrimonio. Si cominciò poi in Leone Nono e si continua hora in Vostra Santità l’usanza di catturar pontefici. Non può dubitarsi che in questa prosapia le sceleraggini siano equali et anco superiori alle glorie.

Capitolo VII

Ma che diremo della persona? Peccò forse Ruggiero per fragilità? Forse fu violentato dal bisogno? Fellone dishumanato. Sicilia, gemma dei principati, paradiso delle delitie, tu non fusti sufficiente a satiar la smoderata cupidigia di costui, con tutte quelle benedittioni della terra e del cielo che in ogni tempo si fecero vagheggiare dall’appetito di tutte le nationi armate. Non bastava a Ruggiero l’esser conte in Sicilia se non passava a fare il traditore in Calabria. E con qual modo? Guglielmo, suo nipote, con la perdita degli stati hereditarii può insegnare a tutti i principi insospettiti che la fede normanna è univoca con la fede greca e che Ruggiero è in docile ad apprender vituperio dove conosce interesse. Miserabile pupillo che nel cercar la dote perde l’heredità e fu esule dove arrivò sposo. Mentre il semplicetto consumava {5r} il matrimonio in Constantinopoli questo buon tutore gli consumò il patrimonio in Italia. Assassino del proprio sangue fu nemico d’ogni pietà. Stupri nei monasterii, incendii nelle chiese, stragi nei popoli erano l’orme trionfali di quei passi, con li quali il conte di Sicilia camminò a farsi duca di Calabria e di Puglia. L’impeto del zelo mi farà dire una stravaganza contro costui. Origene se havesse preveduto un tale esterminio, haverebbe in quei suoi vasti delirii affermato che quel demonio, il quale nel mongibello si chiamò Encelado, incarcerandosi hora in corpo humano fusse l’anima di questo Ruggiero et comparisse sprigionato dalle fucine di Sicilia per adoprare i fulmini contro alle stelle. E chi potrà dubitare che questo furibondo habbia assaltato il regno celeste nello stato ecclesiastico e Dio nel pontefice?

Capitolo VIII

Apparirà questo evidentemente nel secondo punto, al quale spetta la persona di Vostra Santità; ella è quell’Innocentio che non può mai sperare sincera riconciliatione da Ruggiero. Egli troppo l’offese, troppo l’odierà. Non voglio trattar con rigore. Ammettasegli qualche scusa nel protegger l’antipapa. Non fu solo ad errare e fino la santimonia di Monte Casino prevaricò. Ma lo scisma finì per la {5v} morte di Anacleto e per la rinuntia di Vittore, non finì per questo la ribellione di Ruggiero. Che ostinatione diabolica? Si riunì sotto il suo capo il christianesimo tutto, costui volle più tosto restare dismembrato dalla Chiesa Cattolica che farsi fedele di Vostra Santità. Che poteva ella far più per recuperarlo? Con quanti offitii misericordiosi procurò ella la salute a quel figlio fuoruscito che a suo padre repudiato procurava la destruttione? Non posso frenar lo sdegno quando penso che interpetre si adoprò et invano quel Bernardo che dall’eremo di Chiaravalle s’introdusse nei palazzi dei re per riunir la Chiesa, poté, espugnando con poche parole i regnanti, soggettare al vostro pontificato la Francia e l’Inghilterra, quello che condusse il secondo antipapa genufesso ai vostri piedi, e canonizzato dalla fama avanti la morte, fu acclamato dagl’applausi di Roma per padre della patria e pacificatore del mondo. Questo angelo di pace si elesse da Vostra Santità per Nuntio a quel satanasso di perfidia, et egli con impertinente ostinatione, fece vedere all’Europa che la facondia di Bernardo era in lui solo scompagnata dall’onnipotenza. Queste memorie d’oltraggi saranno sempre in quel petto infernale mantici d’odio verso Vostra Santità, poi perché questo fuoco vi si nutrisca eterno, lavoraranno ancora sempre in portarvi ali menti le memorie delle pene ricevute da lei, e forse che {6r} furono ammonitioni che mostrassero il zelo senza l’odio che paressero più tosto medicamenti che ferite? Ella gli consegnò l’anima al diavolo con l’anatema, egli sacrificò li stati all’imperatore con la guerra. È stato lacerato con l’autorità romana dalla Germania armata, vide intronizzarsi nella casa propria un duca tedesco. Di colpi tanto gagliardi le cicatrici rimangono eterne. Queste gli persuaderanno sempre che tutto il male che ella non gli farà sia impotenza. Da una tale impressione io non saprei profetizzare conseguenze felici e particolarmente che la frequenza delle vittorie non suole essere buona maestra di moderatione. Hora costui, insolentito dalla prosperità, non capisce in sé stesso. Gli parerà d’havere Dio stesso in catene mentre ne tiene il vicario in suo dominio. Sarebbe simplicità il credere che per autorizzare l’usurpatione del titolo regio, ei non stimi nell’interno suo gloria maggiore la prigionia che la benedittione di un papa.

Capitolo IX

Vengo adesso ad esaminare l’intentione di Ruggiero. Questa e come può essere mala? S’humilia in tempo di trionfo, non di bisogno, s’humilia al papa non formidabile ma più tosto miserabile, vuol riconoscere la corona da chi sta in catene. Questa non è necessità, dunque non {6v} può interpetrarsi per altro che per religione. Io, padre santo, ho sopra esaminate le qualità d’Innocentio e di Innocentio e di Ruggiero perché si veda che in una inimicitia insuperbita tra le felicità delle sceleraggini non si può presumer bontà né verso Dio, né verso il vicario di Dio, virtù e religione? Egli le stima pratiche fallite di novitiati monastici, sono nomi che nella sua testa si qualificano, la virtù come alloppiata dalla simplicità, la religione come sdilombata dall’impotenza. Qui sento un’oppositione che dice. Pare che in questa consulta tu sia il confessore del re, non il consigliero del papa. Metti li scrupoli a lui nella coscienza e noi cerchiamo la felicità nel regno. L’intentione se è mala, sarà nociva a lui solo. L’effetto se è buono, sarà giovevole a tutta la Chiesa. Io non posso concedere questo presupposto, cioè la bontà dell’effetto. Offerisce regni e giura fedeltà a San Pietro. Promesse anco di esser tutore al nipote. Il tradimento fatto al suo sangue mi rende anco diffidente verso i suoi giuramenti. Quicquid id est, timeo Danos et dona ferentes. Ma veniamo dalle querimonie alle ragioni. Qui è necessità che il mio discorso si riduca a camminare per questo giuso. Che pretende Ruggiero con la petitione? Che guadagnerà la Chiesa con la ripulsa? A questi due interrogatorii aggiusto queste due risposte. Pretende armarsi a nostre {7r} spese, potremo reprimerlo con l’armi sue. Può questa eccelsa udienza subito accorgersi quante forze si racchiudono in questi brevi detti. L’importanza della causa mi necessita, la benignità dell’attentione m’invita a dichiararli.

Capitolo X

Quanto al primo, se io non m’inganno, costui, Beatissimo Padre, calcola i suoi conti così. Troppo è vituperata nel concetto popolare la mia rapina. La sceleraggine è stata efficace nel conquistare l’imperio, ma la riputatione è necessaria per conservarlo. Se Napoli mi stima un ladrone scommunicato, non posso sperare di viverci re pacifico. I popoli si faranno coscienza d’obbedirmi. Guardisi ogni regnante da questa opinione. Ella è una mina sotto il palazzo che piglia fuoco dall’opportunità. Non mancherà mai in queste nationi semigreche un cervellaccio eteroclito che si pensi di guadagnare il cielo con occidere il tiranno. Mi mette conto il discendere a qualsivoglia humiliatione per purgare il mio nome da queste infamie. E sono io tanto poco pratico che io non conosca quanto ci voglia per custodire una monarchia che si reputi una violenza! Ci vuole un animo perpetuamente inquieto, non basta un erario continuamente inesausto. Hora un tumulto di tante difficoltà si può speditamente {7v} quietare con la mutatione di un vocabolo solo. Questo poi a buon mercato può comprarsi dal Vaticano che nel distribuire i nomi stabilisce i principati. Quel che è rapina si chiami donatione: non si dica più l’ha conquistato il re, dicasi l’ha infeudato il papa. Così mentre io gli offerirò pochi tributi, egli mi assicurerà due regni. Plausibile stratagemma di vincitore cauteato, farsi presidiare da quell’armi che ti persequitano. Arte domestica di stirpe guiscarda ricevere in dono quel che si possiede per forza. Ruberto, il nostro primo principe, insegnò questa arcana inventione di fortificarsi nelle conquiste vacillanti. Introdusse il diretto dominio dei pontefici nel Ducato di Puglia e Calabria. E che ne guadagnò? Dichiarandosi feudatario di nome, si legitimò per padrone in sostanza, che può pregiudicare il farmi hora riconoscere per suo parente con l’imitare il suo consiglio? Non sono così spezzabili le potenze delle due Sicilie che il pontefice possa come sopra regni infeudati esercitarci mai una minima superiorità contro all’arbitrio dei re. Così non si perde la padronanza effettiva, benché si professi una soggettione cerimoniosa. Concludasi pure questo bel contratto dove per me la perdita è nulla et il guadagno è sicuro. Chiedo assolutione et investitura. Quella mano mentre si alzerà a pormi con la benedittione della {8r} Chiesa il diadema reale sopra la fronte armata, la medesima nel medesimo punto descenderà a porre col giuramento dell’obedienza le carenze celesti ai popoli non ben quieti. Ecco il beneficio dell’assolutione. Oltre a questo mi parerà d’assoldare alla conservatione de’ miei heredi tutti i pontefici futuri, alla riputatione dei quali non converrà mai l’abbnadonare in qualsivoglia pericolo indifesi così nobili feudatarii, ecco il beneficio dell’investitura o interessi felicemente negotiati. Venga la religione e conficchi con un chiodo del crocifisso la ruota della mia fortuna. Quando haverò poi assicurato lo scettro nel prevalermene, chiederò consiglio alla spada. Questi, Padre Santo, io giurerei che fossero i motivi di Ruggiero in questa troppo interessata comedia di posticcia pietà. Non fo’ giuditio temerano. Ma in materie troppo gelose si pregiudicarebbe alla salute pubblica con presumer bene.

Capitolo XI

Passiamo al secondo punto. Che può guadagnare la Chiesa con la repulsa? Risposi: potrà reprimere il tiranno con l’armi sue. E son certo che io risposi bene. O maestà del sacerdotio, o potenza della religione! Mirabile stravaganza. Ruggiero è vincitore, Innocentio è prigione e pure non deve temere Innocentio, deve temere Ruggiero. {8v} Vada pure il mondo come si vuole, io non sospetto che a Vostra Santità o si allunghi la prigionia o si tolga la vita. Se ne guarderà molto bene. Io scommetterei qualsivoglia gran cosa. Costui non vede l’hora che quell’arca del Testamento esca fuora dei suoi confini. È una mercantia che non frutta molto in casa degli scelerati. Se egli deride i fulmini del cielo, paventerà i pugnali della terra, e se a Pietro fu comandato il riporre il coltello, non mancheranno mani che sapranno sguainarlo per liberar Christo nuovamente catturato nel suo vicario. No, no, non è tanto stupido Ruggiero che voglia farsi credere un Iona nelle tempeste, non ardirà mai di farsi reo nel sommo sacerdote di quei delitti, ai quali dall’opinione universale suole attribuirsi la causa d’ogni occorrente calamità.

Capitolo XII

Soggiungo di più, ancora che parta libero Innocentio, deve temere e so che temerà mentre resti scommunicato Ruggiero. E come no? E sia pure imperterrito e sia pure ateista quanto ei vuole. Noi crediamo che Iddio si serva del mondo et egli sa che il mondo s’intitola Iddio quando si tratta di gastigare i maledetti dalla Chiesa. Ha forse Ruggiero a cercarne gl’esempli lontani? Che spettacoli ha mosrato nell’Europa questo secolo a tutte l’eternità? Altro huomo era Henrico Terzo che non è questo usurpatore. Re di Germania {9r} e d’Italia con sessanta otto battaglie e quasi altretante vittorie haveva superati i trionfi di Giulio Cesare. Il tutto servì p(er) mostrare che nessuna potenza serve per armatura ad un condannato da Dio. Spesso spaventevole, ma sempre spaventato, vedeva nell’oppressioni dei sacerdoti punirsi dalle ribellioni dei popoli, torbido, agitato, incostante, hora sbeffava il cielo, hora tremava di Roma, fatto furia del Christianesimo et abominatione del mondo clerelitto dai più fidi, desperato da sé medesimo, vide armarsi contro di lui per esecutori della scommunica pontificale i proprii figli. Si degradò presentialmente con publica ignominia da un concilio di Magonza, restò prigione del figlio ribellato in una battaglia di Liegi, mendicò il pane fra le derisioni dei disgustati nel vescovado di Spira. Accidenti memorabili con i quali egli insegnò a tutta l’università dei monarchi che qualità d’armi sia la scommunica dei pontefici. Ruggiero sa questi eventi e non vorrà rinovargli nella sua persona. Mentre regni scommunicato, sognerà che sotto ogni sede sia un trabocchetto, che ogni ministro sia un giuda, che ogni figliolo sia un bruto, e neanco potrà fidarsi della propria spada sì che ella ricevendo l’anima dall’imprecationi del profeta, non verifichi in costui quel voto zelante fulminato contro agl’empi. Gladius eorum intret in corda ipsorum. {9v} Stia pur intrepida e mostri petto a Santità Vostra, tocca al maladetto e non al santissimo il fare i conti con la paura. Parmi sentire i procuratori di Ruggiero che fanno un grande strepito con un esempio appropriato. Leone Nono, pur carcerato, benedisse lo scommunicato. Ruberto e poi non solo egli, ma ancora altri ponefici, ne hebbero salutiferi aiuti. Non niego gl’aiuti ma veggio più in questo punto, ma non posso non esclamare. Forse, forse, se quella prima benedittione non legava all’hora le mani ai popoli, i Guiscardi non sarebbero tiranni e papa Innocentio non sarebbe prigione.

Capitolo XIII

Io potrei terminare con questa clausula la mia esortatione, ne credo che ad alcuno potesse parere insufficientemente persuasa la giustita della repulsa. Un contraente imperioso, l’altro necessitato, un traditore, l’altro zelante, e tutti due diffidenti, una humiltà che chiami la religione per sentinella della tirannide. Una investitura che si ricerca per non ricever gastigo dalla violenza, tali sono gl’ingredienti di questo trattato. Certo un pontefice che disperga con una negativa coraggiosa queste machine di destruttione, non potrà non havere l’applauso del mondo e l’ {10r} assistenza del cielo. Mi conosco però in necessità di soggiungere un’altra consideratione di più. Beatissimo Padre io confesso la debolezza del mio spirito, mi sono pure assai scandalizzato nel trovarmi in alcune conventicole che sono troppo profane in una corte sacra. Alcuni politiconi che si persuadono di potere con l’inarcatura d’un supercilio sostener la vastità delle sfere che pretendono d’havere in una apertura di labbri una stadera per bilanciare gl’imperii, condannano ogni controversia che si esamini in questa proposta. Esclamano: può il papa stabilirsi due regni con una benedittione, fare un’acquisto di quel d’altri col donare quel che non è suo, e ci vogliono tante consulte? Costoro portano affetto ma con interesse, entrano nel tempio, ma per mercantia. Io sono di senso tanto contrario che mi sento ritardare da quel motivo che tanto gl’incita. Alzo la voce con libertà ecclesiastica e dico. Questo guadagno quanto è più conspicuo, tanto mi rende più controversa l’assolutione. Mi sento intronare l’orecchie da queste mormorationi che sarebbero arrogante ma però occasionate. Si acquistano dunque i feudi alla Chiesa con autorizzare i tradimenti? La fellonia spererà mai il patrocinio mediante i papi da Giesù Christo? Dunque sit fortitudo hominum lex insiustitia. Tiranni armati, assassinate i popoli, usurpate i regni, in Vaticano si fa mercato di benedittioni, e purché a lui riserbiate {10v} il fumo di un titolo, ei sempre vi legitimerà il possesso della rapina. Veggio nel volto della Santità Vostra un rossore di sdegno zelante che è svaporatione di Spirito Santo, so che ella è pronta a sacrificar prima la vita che a permettere che con tanto stomacoso opprobrio dedecoretur ministerium Christi in vobis. In questa si è messo sotto sopra con tante guerre tutto l’universo per levare la iurisdittione sacra agl’imperatori renitenti. Stanno aperti gl’occhi di tutte le nationi sopra il Vaticano e ricercano nei sacerdoti la mancanza di quei delitti che essi hanno anatemizzati nei principi. È troppo necessario che il Pontefice Massimo in materia d’interessi viva non solo senza colpa, ma senza sospetto.

Capitolo XIV

Concludiamo dunque così. Domini la giustitia della causa e la maestà del sacerdotio. Impari il mondo da una risolutione imperterrita che un pontefice romano non può esser violentato dagli spaventi né pervertito dai premii a protegger scelerati. Quando il mondo sarà certificato di questa verità, fate poi a me un’altra interrogatione. Dunque, si devono serrare le porte della Chiesa alla penitenza? Io non lo consiglio. Dico bene che Ruggiero non mostra d’esser pentito mentre tiene {11r} un papa incarcerato. Vedete s’io tratto con lui con animo non inimico. Voglio insegnarli una strada sicura p(er) arrivare al suo intento. Vuole San Pietro per tutore del suo scettro? Brama che la religione comandi ai suoi popoli l’obbedienza? Si liberi prima il pontefice e si riconduca a Roma. Allora potrà Ruggiero porgere i memoriali a quel solio adorato con qualche credito di pentimento, allora quando l’interesse publico lo persuada potrà Vostra Santità mostrarli che dal vicario di Dio quella indulgenza che non si rapisce con terrori di necessità s’impetra con meriti di religione. {11v}

Discorso secondo

Si propongono le ragioni politiche per le quali Innocentio Secondo deve concedere a Ruggiero Guiscardo l’investitura delle possedute Sicilie.

Capitolo Primo

Fervido fu il zelo, col quale declamò l’assessore della conscienza papale. Si genuflesse immediatamente il commisario dei principi supplicanti, e portando nella sua voce i voti delle due Sicilie, rispose così: speciosi vocaboli sogliono empire spesso la bocca a quei filosofi contemplativi che intenti a beatificare un genio astratto, sognano idee di perfettione perché non praticano i bisogni del mondo. Noi, Beatissimo Padre, addisciplinati dall’esperienza, cercheremo prima gli effetti salutiferi che le parole pompose. Un motivo solo s’introdurrà da noi senza corteggio d’amplificatione per consigliero avanti la Santità Vostra acciò a Ruggiero si ottenga la benedittione e l’investitura. E quale sarà? La salute d’Italia e per conseguenza la quiete del {12r} christianesimo. Lascieremo a più sublime eloquenza discorrere il punto della religione.

Capitolo II

Qui non si tratta, Beatissimo Padre, di rifare un mondo nuovo, è necessario governare il mondo presente, se bene già fatto da Dio, però sempre putrefatto dal peccato. Se il confessore zelante m’interrogasse: ti piace lo stato presente? Risponderei: no! Se replicasse: cercheresti mutarlo? Reciterei l’istessa negativa e direi no! Come dunque desideri quel che ti spiace? Non lo desidero, ma lo tollero. Dove non può dominar l’arbitrio procuriamo di mansuefar la necessità. Se i desiderii del popolo fussero gl’architetti dei principati io vorrei non minori prerogative in un re che S. Paolo non ricerca in un vescovo. Confesso poi che quelle gemme del cielo non risplenderanno nelle corone dei Normandi. Ma bisogna discernere quel che si può fare, non quel che si vorrebbe. La necessità ottiene la dispensa contro alla legge e la iurisdittione ecclesiastica deve governarsi talmente con la potenza temporale che il zelo si contemperi con la possibilità. San Pietro ne diede la prima lettione a tutti i successori. Non procede a dichiaratione alcuna contro la tirannia di Nerone, ogni {12v} tentativo contro a quell’empio sarebbe stato un impedimento contro all’evangelio e non sarebbe zelo, sarebbe furore, l’inimicarsi le forze dei principati quando si cerca il regno alla fede. Noi viviamo in una età che mettendo alle mani il sacerdotio con l’imperio ha populata di cadaveri e sotterrata nel sangue l’Europa. Oh Dio, lenitivi, soporiferi, temperamenti ci vogliono per addormentar le discordie et ogni partito che si elegga per rimedio della Christianità esulcercata, sarà giusto. Eh come no? Infino il veleno diventa spesso medicina quando contemperato in una bevanda può restituire la salute agl’infermi, et al’hora quel che apparisce iniquità è giustitia, quando adoprato con prudenza, può intordur la pace nella republica. Pensano questi scrupulosi che nelle nostre teste non segua più d’uno ammutinamento di pensieri tumultuarii che gridano all’arme e con una superbia disperata esclamano che è meglio esser cadaveri nella campagna che sudditi alla tirannide? Però gl’interessi publici non devono havere per consigliere le furie , e quella che par generosità è pazzia, quando con lo spargimento del sangue, non si fa altro guadagno che satollare la rabbia dei nemici. Un traditor di parenti, un persecutor de’ pontefici, un maladetto da Dio è {13r} nostro tiranno esagerate quanto vi piace. Piacesse al cielo che potessimo negarlo. Però noi siamo ridotti in queste angustie, se non vogliamo essere le pesti della patria, i fomiti dello scisma, i terremoti dell’europa, siamo necessitati a supplicar Vostra Santità che ci conceda il tiranno per re. Asserisco che nelle presenti congiunture ogni motivo di novità costituerà il mondo e la Chiesa in stato miserabilissimo.

Capitolo III

Discendiamo un poco più ai particolari. Che vogliamo fare? Cacciar Ruggiero? E come? Con la persuasione o con la violenza? Questo è negotio che non può concludersi senza lui. Questa volta si io confesserò, che nelle controversie di stato le parole vagliono più che gli’eserciti, se si trova facondia che persuada Ruggiero a partirsi. Efficace oratore può essere in questo negotio Henrico Terzo. Prudentemente fu citato a questo effetto e veramente io non so se in una moltitudine di secoli s’incontrerà mai più uno spettacolo così terribile per scuorare i tiranni scommunicati. Pure è gran cosa. Egli non poté persuadere questa dottrina al proprio figlio. Henrico Quarto che fu non solo spettatore, ma autore della miseria paterna, non recusò il patrimonio dell’impietà scismatica, anci con inventate sceleraggini l’augmentò. Hora nel proposito nostro le circostanze {13v} sono differenti, l’esempio non è domestico, lo spettacolo non è presente, poco ci è da sperare che possa persuadersi Ruggiero.

Capitolo IV

Non niego già che un tanto personaggio gli sia per insegnare a temere. Però avvertiamo: non ogni timore è quieto, tal hora la timidità conduce alla temerità e la disperatione cerca franchigia nel precipitio. S’introdusse la favola di origene per incorporare l’Encelado di Mongibello nella persona di Ruggiero. Maestosa hiperbole, ma imparate anco da quella favola che Encelado fulminato una volta, fulmina sempre. Guai al cielo, se potesse ricevere dalle fiamme del gigante quei nocumenti che può ricevere Roma dall’armi di Ruggiero. Voglio inferire che il violentato spavento che in questo audace s’internerà dall’anatema, li persuaderà più tosto a fulminare il Vaticano che a deporre il regno. Questo cervello smoderato si diletta di lodi superboliche. Io viddi propriamente la superbia imbriacata d’allegrezza, quando in lode della potenza normanda gli fu presentata una lusinga poetica da un ingegno siracusano. Trattando quando Gregorio Settimo fugò di Roma, Henrico Terzo col traccio di Ruberto Guiscardo, entrava il poeta a concettizzare che sicome Giove non haverebbe havuti fulmini per debellare i giganti, se a lui {14r} non gli fabricava la Sicilia, così San Pietro non haverebbe armi per atterrire gl’imperatori, se dalle due Sicilie non le prestasse loro l’amicitia Guiscarda. Uno spirito impastato di questi vanti difficilmente peccarà in pusillanimità nel perdere i regni. Prima che io passi più oltre, voglio confessare un mio senso. Quell’esempio di Henrico Terzo è bene gloria del pontificato, ma non è già prosperità d’Europa. Io non desidero di vederne rinovata l’esperienza. La scommunica in lui operò, è vero, ma in quanto tempo e con quali accidenti? Ci volsero ben cinquant’anni interi e con le viscere dell’Europa, col sangue christianesimo, con le ceneri delle chiese, si compose l’elettuario che condusse a postema tanta putredine. Io vi dimostrerò hor hora che non minor rovina si può aspettare mentre si esasperi, e prima che si disarmi Ruggiero. Concludo questo quanto al persuaderlo chi lo spera è un buon huomo. Pensate se egli haverà usurpato un regno per fare un voto d’obbedienza? Vorrà prima non vivere che non regnare, vorrà poter accusare di mancamento la fortuna e non mai sé stesso.

Capitolo V

Facciamo pure i conti con l’altra parte et esaminiamo se egli potrà cacciarsi con violenza. Asserisco nel medesimo tempo {14v} due cose. Mentre io dimostrerò che questo non può facilmente eseguirsi, apparirà ancora che non deva inconsideratamente desiderarsi. Quanto alle difficoltà, il presente stato non mostra Roma superiore di forze a Napoli, grande animo ha chi mentre non può levarsi le catene nella prigione, spera di metterle al vincitore nella battaglia. Questo sarebbe propriamente uno sperare in spem contra spem. Lo fece Abramo e si lodò, però egli oppose alla fallacia dell’esperienza, l’infallibilità della revelatione. Se Vostra Santità ha queste promesse da Dio io taccio, ma se si deve ponderare la possibilità humana, i papi armati hanno havuto campo di tesaurizzare gran patienza nella moltitudine delle sconfitte. Roma si trova lacerata da troppe guerre e distratta dalle continue seditioni, in effetto snervata di forze, ma ci è peggio. Non so quanto in questi tempi sia desiderabile ai pontefici il vedere Roma potente, mentre tanto l’esperimentano ribella.

Capitolo VI

Sarà dunque necessitato papa Innocentio ad implorare gl’aiuti di Germania. Di questi il numero mediocre non basta, fino a qui le vittorie di Puglia sono sencite ai tedeschi per pompe di funerali, e l’imperator Lothario, mentre con la presenza vinse assai e con la partita perde il tutto, non ha in sostanza {15r} persuaso altro a queste nationi, se non che la spada di Ruggiero si conservi invitta infino contro alle vittorie e sia incantata dal fato contro il sacerdotio e l’imperio. Bisognerà dunque che ella faccia ogni sforzo per sboccare sopra queste provincie tutto il settentrione armato. Se questo negotio, che pure è tanto difficultoso, le riesca facile, non scorge Vostra Santità in questo pensiero un baratro di precipitii? Chi forma questo voto non può essere esaudito dai cieli se non irati. Mette forse conto ai pontefici tante volte traditi il raggirarsi intorno gl’eserciti imperiali? Gli esempli sono così frequenti che il papato lungamente si ricorderà con spavento che cosa sia Germania in Roma.

Capitolo VII

Quanto agl’interessi nostri, o Napoli o Sicilia che sarà di voi? Subito che il pontefice comincerà a fare le preparationi della guerra, Ruggiero ci darà il sacco con le impositioni. Ma quello che è l’estremo delle miserie, si violenteranno questi popoli tanto devoti a San Pietro di pigliare l’armi scommunicare contro alla Chiesa, e sacrificando l’anime alla tirannide, mescere il sangue degl’ecclesiastici al diavolo. Voglio fare alla giusta causa augurii fortunati, presuppongo che a Vostra Santità sia per toccar la vittoria, ohimè, calamità speciosa che metterà assai più vincoli alle mani {15v} pontificie che non fa la prigionia presente. Vittoria che sarà più tedesca che romana. E pur troppo manifesto che le militie straniere, quando sono vincitrici, vogliono prima dar le leggi ai principi soccorsi che lasciar ad essi i regni conquistati. Quanto a questi popoli, in quel caso le viscere italiane saranno macellate dalle spade alemanne e quella barbarie insolentita sotto pretesto di difender la Chiesa si proverà di distrugger la fede. Non può dunque e non deve violentarsi Ruggiero per parte di Vostra Santità, ma non può e non deve violentarsi per rispetto delle sue forze.

Capitolo VIII

Io ho tenuto fin qui nelle fattioni del nostro discorso Ruggiero retirato da una parte come se egli fusse un gigante di legno; non è pericolo ch’eii riesca tale, tacciamolo entrare in campo adesso per non haver a temerlo poi. Nelle due Sicilie ha forze così poderose e così unite che forse potrà fare resistenza imperterrita senza soccorsi forestieri. Ma quando egli si veda derelitto dalla fortuna, egli per difendersi scatenerà contro alla Chiesa satanasso con tutti i diavoli, offerirà ai greci portione di qualche dominio nell’Italia totalmente perduta, ne si vergognerà di confederarsi con quei medesimi Saracini che egli tanto si gloria d’haver {16r} discacciati. Si può conietturare che sarà costretto nei tempi di bisogno a fare con sì fatti defensori capitulationi empie per la religione, vergognose per la sua fama, barbare per questi regni. Però queste eccettioni di vitueprio non gli diminuiranno le speranze del trionfo e le tante piaghe d’Italia mostrano che le armi del mezzogiorno e d’Oriente purtroppo sanno ferire. La prudenza comanda che nelle deliberationi si pensi sempre al peggio per procacciarvi il remedio. Se Ruggiero vince (il che pure non è contingenza inversimile e non sarebbe cosa nuova) come starà la Chiesa? Sto per dire che se volesse esser pio, non potrà. Acquistar la vittoria nella casa propria vuol dire haver alloggiato l’esterminio nei proprii stati. Esausto di denari, furibondo di rabbia, non volendo accoppiare al trionfo il fallimento, manderà le sue arpie a sfamarsi nella mensa di San Pietro. La sorte poi di noi sventurati sarà questa. Doppo havere consumato il sangue, la robba e l’anima, le miserabili reliquie della nostra posterità si ridurranno a sperare come un sogno di beatitudine doppo molte decine d’anni la conditione dello stato presente. Oh Dio, altro non ci mancherebbe, se non che i Saracini come esercitati nella perfidia si prevalessero dell’occasione. E perché non habbiamo a temere che quei barbari quando le forze di {16v} queste provincie saranno attenuate non ci spingano addosso nuovi annibali dall’Africa oltraggiata mettendoci in necessità d’havere ad adorare in questa regia un tiranno macomettano? Malinconica ma necessaria meditatione che a Vostra Santità distillarebbe il cuore in pianto, se ella non ne portasse pronto il rimedio con una benedittione dentro alla mano. Resta sufficientemente provato che Ruggiero non può né persuadersi né sforzarsi e che le violenze contro di lui riuscirebbero rovine sopra a tutti.

Capitolo X (errore di numerazione)

Non paia grave a quell’immenso intelletto nel quale Vostra Benedittione comprende tutto il mondo, il restringersi un poco al particolare di queste provincie. Certo la vastità della monarchia sacra non permette alla vigilanza pastorale il trascurarle. Quanto agl’interessi, può Ruggiero, può qualunque potentato non curarsi di Roma, non può già fare il medesimo un pontefice negli stati loro. Essi non hanno cosa propria da custodire in quella città, dove non tengono e non possono pretendere padronanza. Ma un papa? Tiene impegnati nelle forze d’ogni prencipe troppi depositi del fidecommisso celeste. Nei reami stranieri oltre al’entrate del clero che sono i patrimonii di Christo oltre a tanti monasterii che sono fortezze {17r} ecclesiastiche. Il pontefice almeno almeno in ogni città possiede un vescovado, in ogni quartiere una parocchia, in ogni corpo un’anima. Questa illimitata iurisdittione, mentre lo introduce a dominare nel territorio di tutti, lo necessità ancora ad una caritativa servitù verso tutti. S. Paolo gli mette le parole in bocca, egl’imprime l’inquietudine nel cuore mentre dice: Quis infirmatur et ego non infirmor? Hora fra tutte le altre del mondo christiano, queste nostre provincie godono per questo rispetto prerogative singolari, sono incorporate per la vicinanza con Roma, sono dependenti con l’investitura da San Pietro, questo vuol dire quando nei tumulti loro si mantenesse immota ogn’altra parte d’Europa, stimerebbe Vostra Benedittione, trafitto il suo cuore da tutte quelle spade che s’insanguinassero nel seno delle due Sicilie. Dai loro interessi proprii parlerò al presente.

Capitolo XI

Primieramente qui non ci è stirpe pretendente. E quando ella ci fusse? Non sarebbe già dovere l’esporre tante provincie all’esterminio per validare le ragioni d’una casa. La giustitia bene ordinata ha fatto i prencipi per tutele dei popoli e non i popoli per vittime dei prencipi. Ma passiamo avanti. Gl’ultimi nostri oppressori sono stati {17v} Greci e Saracini. Vorrei propriamente sentire qualche gran avvocato che disputasse a quali di queste due nationi si deva rilassare per giustitia il mandato recuperanda possessionis. Quale è peggiore? Quanto al nome non se ne dubita. Troppo più risplendono quei vocaboli d’Imperio e di Grecia che quei di Macometto e d’Arabia. Quanto alla sostanza, io non mi risolvo. Si ribella a Dio, rinega l’humanità chi desidera il dominio dei Saracini. Più di trecento anni la nostra Sicilia ha sofferto quel giogo diabolico. Non sono soldati ma assassini, non hanno principato ma latrocinio, mentre disertano il mondo, se la pigliano col cielo. E ho forse che tanta empietà si può frenare con lo spavento? Ohimè, quanto è poderosa? Ohimè, quanto è tirannica? La Persia, l’Armenia, la Soria, l’Egitto, l’Africa, Cipro, la Spagna, la Gallia, la Sicilia, la Calabria, Roma, tanta moltitudine di nomi trionfali si registra da loro nel catalogo dei potentati sconfitti. Imposero tributo pecuniario prima a Giustinianio Imperatore e poi a Giovanni Ottavo Pontefice, ma nella Spagna assegnarono un datio di vergini christiane all’impudicitia moresca. In Roma dalle due basiliche delli due apostoli rapirono le spoglie sacre per offerirle con ludibrio del vicariato divino alle meschite di Macometto. Questo sfogo non {18r} era necessario per dissuaderne i desiderii riuscirà bene opportuno per glorificarne i liberatori.

Capitolo XII

Venghiamo ai Greci. Che teste vane? Gonfi per la fama dell’antica litteratura non possono comportare il giogo del Primato Romano. Quanto fu sempre perniciosa alla Chiesa la loro potenza? Pretesero infino che l’elettioni dello Spirito Santo dovessero autenticarsi col placet dell’imperatore greco, e volsero che un papa non potesse prendere il governo in Roma se prima non mandava il tributo in Costantinopoli. Quelli altri interessi di religione che Dio confida al maneggio di Vostra Santità non permettono al sicuro che ella brami Grecia confinante con Roma. Quanto poi all’esperienze che sono toccate a noi, noi faremo all’età future questa fede. Dove i filosofi greci insegnarono tutte le virtù con gli scritti et i prencipi greci insegnano tutte le sceleraggini con le opere. Non si trova homicciattolo tra coloro che non habbia hereditato da suoi antichi quella impertinente crudeltà che tutte le altre nationi siano barbare. Adorano un verso di Euripide come se fusse un editto dell’Onnipotente. Che sententia giustificata? Alla Grecia sola tocchi per natura il principato et a tutto il mondo rimanente la servitù. Ohimè! Che pena è ricordarsi Exarchi, Catapani, Stratigo? {18v} Cuori impastati di tradimenti, bocche nemiche di verità. Favoleggiano non più nelle poesie coi versi ma nel commertio con le fraudi. Dove poi comandano, non permettono che si trovi altra guardia contro alla libidine che la deformità, contro all’avaritia non lasciano altro ricovero che l’inopia. Alla crudeltà trovano patulo in ogni corpo dove sia sangue. Bisogna qui confessare il vero. Chi liberò Italia da questi due gioghi, merita le statue trionfali, non solo in tutti i teatri, ma in tutti i cuori. Et il cielo ha fatto questo beneficio alle due Sicilie col valore delle spade normande. Dunque non traditori di Grecia, ma liberatori d’Italia devono per questa causa intitolarsi i Guiscardi.

Capitolo XIII

Concludo dunque così. I Greci sono scacciati d’Italia, i Saracini di Sicilia, e noi resistiamo liberi dal vassallaggio. Chi non ha saputo difenderci, non pretenda di comandarci, et ogni popolo derelitto dall’impotenza degl’antichi padroni giustamente pretende che alla sua elettione sia devoluta la tutela della salute propria. Parlo con quella veneratione debita a quell’eccelsa superiorità che noi veneriamo nella maestà di Pietro, però Vostra Benedittione non ci niegherà il privilegio conceduto dalla {19r} natura a tutti gl’oppressi. Di eleggere i mezi espedienti alla sicurezza propria. Ascoltici dunque nella causa di questo governo o come elettori o come supplicanti. Si ano pure i voti nostri o decisivi o consultivi, volete Beatissimo Padre intendere quali siano? Guardate i nostri interessi. Gl’interessi noti sono sufragii scoperti et in tal caso niuna elettione è più espresssa che la tacita. La tacita si presume perché si vede e parla in ogni piazza con le bocche di tutti. L’espressa si ballottò perché era ambigua e parla nel consiglio per le bocche dei deputati. Hora nell’una maniera e nell’altra e dagl’interessi universali e da questa ambascieria supplicante si palesano a Vostra Santità li voti dell’una e l’altra Sicilia e vi domandano Ruggiero per re.

Capitolo XIV

Contentisi la Santità Vostra che io chiarisca li contradittori con una fintione di fantasia che sarà luce di verità. Dove sete o voi che desiderate che Ruggiero o si persuada o si violenti a partirsi? Io comparisco Nuntio d’un avviso inopinato. Sentite. Ruggiero depone lo scettro e vuole esaliarsi dal regno. Che ne dite? Io m’immaginavo di veder subito a questo tuono balenar nelle sacre fronti lampi d’allegrezze e vedo nei supercilii annubilati pensie – {19v} rose le menti. Mi accorgo che Vostra Santità ha subito appreso quanto arduo negotio sarebbe il mutare a queste provincie spiritose, cioè incontentabili o il principe o il principato. Per questo io propongo questo gran paradosso. Se Ruggiero volesse partirsi, noi doveremo pregarlo a restare. Dimostrato questo punto dell’interesse nostro, io finirò, lasciando al magistrato sacro il tempo sufficiente per entrare nel santuario ad esaminare l’articolo della religione.

Capitolo XV

Nuova sorte di governo è una macchina che non può edificarsi senza molte rovine. Le nationi troppo vivaci sono poco atte all’equalità delle republiche, et in esse s’introduce maggior servitù con l’impedir sempre la potenza sorgente che non è il quietarsi sotto una monarchia stabilita. Questi popoli sono assvefatti ad obbedire. Se la libertà gli sciogliesse, correrebbero al precipitio. Trattiamo quanto al mutar principato. Chi propone questo partito ci trovi qualche profeta, dal quale noi possiamo imparare in qual natione a qual personaggio deva inviarsi la corona dai nostri voti. A questa domanda il confessor contradicente proporrà l’oracolo di quel gran Bernardo, al quale molto più che i popoli di Grecia all’Apolline di Delfo ricorrono in questa età i principi del Christianesimo. Questo {20r} gran patriarca in una epistola famosa che egli scrive all’imperator Lotario definisce le nostre controversie con questo decreto. Est Caesaris proprium vindicare coronam ab usurpatore Siculo, soggiungendo che qualunque s’intitola re di Sicilia, si dichiara ribello all’Imperio. In questo luogo io riconosco e riverisco quel zelo che in mandatis dominio cupit nimis, però non tutte quelle ardenze che svaporate da un cuore zelante, devono sempre effettuarsi in un regno conturbato. Contentatevi o gran Consigliero del Paradiso o Gran Difensore del Vaticano, che noi vi chiediamo licenza di parlar così. Siamo feudi di Roma e non riconosciamo superiorità in Alemagna. Se ella ce la pretende per titoli antichi, se ei l’acquistò con vittorie moderne i titoli che si diedero dal papa, dal medesimo si tolsero. Ne possono più le vittorie nel guadagniare che le perdite nel disfare. Però quando Cesare è comparso qua ad instanza di Pietro, non reddidit, qua sunt Caesaris Caesari, sed qua sunt Dei Deo. Io m’assicuro che a questa nostra potestà non si opporrebbe Bernardo. Egli sono la tromba di guerra contro a Ruggiero scismatico, non la sonerebbe forse contro a Ruggiero humilitato. Certo se egli vedesse Ruggiero Normando genuflesso ai piedi d’Innocentio, non si curerebbe di vedere Lotario Tedesco trionfare nei regni di Sicilia. {20v}

Capitolo XVI

Il Pontefice Pasquale Secondo comparisce avanti a Vostra Santità e le porta un consiglio di confidenza. Si può facilmente diciferare nel paralello delle nostre due disaventure. Se egli fusse spettatore di questa scena, potrebbe mai concluder altro, se non che i Guiscardi di Normandia non sanno esser scorsesi nemeno contro i nemici carcerati, e gl’Henrici di Franconia non sanno esser pii, nepure verso i pontefici benefattori? Benché l’historia sia nota all’orecchie di tutti et anco agl’occhi di molti, vorrei impetrar licenza di farci sopra alcune reflessioni. Viene a Roma Henrico Quarto per stabilire la sua non ben corrobberata potenza col ricevere la corona da Pasquale Secondo. Le condittioni della concordia, essendosi prima pattuite fra gl’ambasciatori e poi giurate dai principali, facevano tacere ogni pronostico di disgusti in quel pericoloso congresso. Comparve il Cesare eletto con un corteggio armato di ben trentamila oltramontani. S’immaginava il papa di ricevere la pace publica nella persona augusta e mandò ad incontrarla non legioni martiali, ma sacerdoti salmeggianti e popoli gaudiosi che, in cambio di fiaste e di spade, portavano palme et olive. Taccio le cerimonie del primo abboccamento; con esse si manifestò nel portico vaticano la debita subordinatione {21r} che è fra la potenza e l’apostolato. Entrò nella basilica chi vuol vedere le furie dell’inferno scatenate nell’atrio del paradiso. Arriva il punto fatale quando per premio della coronatione cesarea si accena ad Henrico che faccia la pattuita renuntia delle iurisdittioni sacre. Egli, havendo appiattata la fraude sotto una parola equivoca, sfacciatamente contradice et al sacerdotio renitente minaccia violenze diaboliche.

Capitolo XVII

Sa Vostra Benedittione quanto al papa tradito costò la gloria della costanza apostolica? Infuriato Henrico per la meritata repulsa, con un cenno di spavento, ottenebrò l’universo. Ecco fra i fedeli attoniti si caccia con impeto quella soldatesca irritata, e forse che si contentò del terrore? S’impedì il sacrificio, si disertarono gl’altari, si fecero nuotare i cadaveri tra l’sangue in quella habitatione di Pietro che dai Gothi non catholici si rispettò come franchiggia del cielo. Ci è più: si spogliorono i sacerdoti con ludibrio, si legarono i cardinali in catene, si condusse il papa in cattività. Ancora dai Normandi si vede catturato Innocentio, ma quanto sono contrarie le cause? Scopriamo bene la diversità dei genii fra le due nationi in queste due prigonie. Pasquale incarcerato come si trattò dai tedeschi? Il principio dell’opera vi sia {21v} pronostico della fine. S’impiegò lo spatio di sessantun giorni, acciò le stranezze del patimento e gli stratagemmi del terrore violentassero il papa a conceder le corone a quella testa che meritava fulmini. Con questa penitenza il buon tedesco provirava l’assolutione. Trovò bene il pontefice tanto fortificato da Dio che per lui la minaccia della morte era voto di prosperità.

Capitolo XVIII

Disperandosi però di poterlo espugnare per via dell’amor proprio, si chiamò la carità del prossimo per consigliera di sommissione. Che vista miserabile fu agli sguardi pontificii il vedersi comparire avanti i cardinali et i prelati con le mani incatenate e col collo ignudo, mente il corteggio dei carnefici prenuntiava con gli spadoni impugnati l’esito della inaspettata tragedia? Si lesse ad alta voce un decreto che non si diffensse la morte ad alcuno, se Pasquale procrastinava più la coronatione ad Henrico. Qui le lacrime degl’innocenti, i consigli della cautela, le violenze della necessità intenerirono con la compassione quel petto, che si era pietrificato dalla costanza. Seguì quel che si sa, si coronò quel che si doveva degradare, si promesse quel che non poté ratificarsi. Mormorò la fama tanto gagliardamente di questa assolutione {22r} estorta che il pontefice Pasquale, inquietato dagli scrupoli et atterrito dall’accuse, convocò un concilio lateranese per chieder perdono di quei giuramenti nulli alla Chiesa scandalizzata. Oh questa si chiama prigionia. Così si trattano i pontefici dai Germani. Dica Innocentio come si trattino dai Normandi e quello Innocentio che si mosse verso Ruggiero, non con il clero, ma con l’esercito, non con le benedittioni, ma con le scommuniche, non per dargli la corona dell’imperio, ma per torgli la corona del regno. Che occorre che io parli? Sono stato forse tedioso allungandomi in un avvenimento notissimo. Ho voluto con questa ricordanza non lasciar dimenticare che in questa età non mette conto alla Chiesa che le corone di Sicilia si recuperino dai cesari di Germania.

Capitolo XIX

Quanto agl’interessi nostri, Dio ce ne liberi. Bastano le fortune di Lombardia per insegnarci a fare questa oratione. Quel paese tanto favorito dalla natura come fiorì governato dalla Franconia? Un pelago di discordie, un macello di occisioni, là si creano gl’antipapi, là si fomentano gli scismi, ivi gl’imperatori mostrano la potenza con esser crudeli e provano anco il vituperio con esser fugati. Queste informationi impetrarebbero la vittoria alla nostra {22v} causa ancora nel tribunale di Chiaravalle.

Capitolo XX

O Germania, io so ch tu sei l’armeria del mondo, la patria dei trionfi e la regia degli scettri. Io applaudo e non detraggo alle tue prerogative. La providenza dei cieli con l’autorità dei pontefici ha trasferita nei tuoi trionfatori la preminenza augusta sopra tutti i principati temporali. Non si è scordata la Chiesa che quando si diede la corona cesarea al tuo grande Otone, la credenza publica giubilava che mancati all’imperio i carolinghi nella Francia era rinato il Carlo Magno alla Sassonia. Un ramo di quella stirpe trapiantato in Baviera ha prodotto il gloriosissimo Henrico Secondo che fece vedere un prodigio grande nel settentrione, cioè la santità nel principato. Nella sua propagine s’innestò dal matrimonio il secondo Lotario che regnando in questi tempi fa credere che la giustitia del suo governo sia dote di quel sangue. Spero che l’età future potranno scrivere historie più felici et ho sentito pronosticare che la religione degl’imperatori alemanni, paragonata con la memoria dei cesari nostrali, farà sententiar dalla fama per indegna et incapace del diadema cesareo la Grecia et anche l’Italia. Non mi oppongo a questi vaticinii. Discorro dei {23r} nostri tempi e le mie parole sono esperienze. Parlo libero. Non crederò mai se Bernardo vedesse i cesari accasati nelle due Sicilie che egli corresse a congratularsi con li papi per le nuove commodità che possono sperare nel vedersi tanto vicini gl’avvocati della Chiesa. Che avvocati? Manum suam miserunt hostes ad omnia desiderabilia eius. Quel titolo di patrocinio ha fatto lero pretendere dominio di tirannia, ne so da quali barbari habbia fin qui il pontificato ricevuto oltraggi più gravi quanto da questi scommunicati protettori. Pare propriamente che non sappiano e non vogliano accomodarsi a vedere l’apostolato condotto nel mondo convertito dalle catene alle corone.

Capitolo XXI

Io sento ardermi nel centro del cuore un Mongibello di sdegno, quando io penso che partito non si proponga in questi tempi per additare un nuovo re ai nostri desiderii. E perché non consolidare il feudo col dominio e non ricevere per re il pontefice? O tempi miserabili. Mi si risponderà che questi sono sogni e perché? Perché gl’avvocati della Chiesa s’esporranno a pericolo di perder la Germania, prima che comportino che li successori di Pietro arrivino all’augumento di posseder le Sicilie. Parliamo d’altro perché in questa meditatione il mio spirito svaporarebbe in {23v} parole di poca riverenza. Odo uno che fa honore a questa patria e consiglia. Eleggete principe un paesano. Fra tanti nobili ingegni mancherà forse chi sia capace del principato? Il male è che non ci è pezzente che non se ne stimi meritevole più del compagno. Questa appassionata frenesia è madre di un’invidia tanto seditiosa che ciascheduno vorrà in questa regia adorar più tosto un barbaro che un emolo. Fra le competenze irrationali di cervellacci indomiti, non sarebbe possibile d’inlanguidire la superbia per frenarla, senza cavar troppo sangue o al regnatore o al regno. Pretendo con questo discorso haver impedito ogn’adito a prencipi novelli. I Greci ci hanno beneficati col fuggire, dei Saracini sarebbe fellonia il trattare gl’imperatori non devono bramarsi, i papi non si possono havere, i paesani non si vorranno obbedire. Ma secondo la nostra hipotese, Ruggiero vuol partirsi, che dunque faremo? Cominciate ad accorgervi che tutti gl’interessi ci spingono a supplicare il principe possidente acciò che resti.

Capitolo XXII

Oh che infelicità di fortuna è la mutatione del principe? In quella catastrofe si patiscono troppi disastri e la legge dominante ha premuto tanto nell’impedirgli che ad alcuno {24r} parerà che ella habbia tradito il mondo per adular la potenza. Sappiamo per qual fine sia istituito il principato, non per indorare un solo, ma per felicitare il publico. Hora e come è possibile che nella libidine d’una femina si comprometta e dalle leggi e dalli canoni l’elettione del regnatore? Sarà re di Egitto chi sodisfa a Cleopatra. Dunque si conquista un regno con l’abbracciare una donna? Che premio a quale attione? Par che il lume naturale ci repugni, par che il mondo strapazzato deva risentirsene, pare almeno che nel tribunale della fama e tanto manco in quel della conscienza non deva mai approvarsi. E pure la legge è chiara che la tutela dei popoli, cioè la padronanza dei regni dalle femine heredi si consegna in dote a mariti stranieri. Chi hebbe ardire di promulgare una legge tale? Il desiderio della pace la propose, il consenso del mondo l’approvò. I calculatori degl’interessi humani fecero il conto nell’esperienze di tutte le nationi e di tutti i secoli, e finalmente nel raccorne la somma si accorsero che, quanto a principi, si patiscono maggiori novimenti nelle seditiose elettioni d’un bono che nella sfortunata successione d’un malo. Chi vuol dubitarne? I principi nuovi quasi sempre si aprono la porta con la spada. Hora non farà mai tante rapine, tanti stupri, tante stragi l’insolenza d’un successore infame, quante {24v} il furore d’una guerra, benché giusta. Per questo si promulgò per legitimo il decreto che in questi frangenti pericolosi preferisce la congiuntione del sangue al merito della virtù.

Capitolo XXIII

Hora nelle due Sicilie non ci è quasi alcuno che non habbia imbevuta col latte l’obbedienza verso il nome Guiscardo, nel mondo tutto non si trova pur uno che sia fideiussore idoneo nel prometterci un principe che sia migliore di Ruggiero. Desideriamo in lui molte perfettioni, so che possiamo vivere sicuri di trovarle in un altro. Ricordiamoci che i tre principati susseguenti fecero desiderabili a Roma fino i tempi di Nerone. Non occorre estendersi più. Quando il superiore è comportabile, chi cerca l’ottimo, merita il pessimo. Ma Ruggiero in queste congiunture è non solamente comportabile, ma desiderabile.

Capitolo XXIV

Che occorre fulminare tante invettive contro al nome normando? L’oratione che dei principati è custode, vigila continuamente per lui nel monte Sinai e nel Santo Sepolcro, dove sempre splendono i donativi e spesso arrivano i pellegrini di Roano. I re di Francia, quando erano irritati {25r} a bramare a questa natione l’esterminio, le participorono il principato. Da essi si deve imparare che nel governo del mondo non deve prevalere l’ira alla salute e che il benefitio della concordia giuditiosamente si compra con la dimenticanza di tutte le offese. A quei re era stato dilaniato il regno e saccheggiato Parigi, e pure havendo esperimentato nelle sconfitte proprie il valore normando, si risolverono a volere huomini sì bravi più tosto compagni che nemici, et invitandoli ad abbandonar le patrie dell’antica dania, assegnorono loro sede e dominio in quella parte della Galia che di Neustria diventò Normandia. Voglio inferire. Noi non doviamo lasciarci svolgere dalla memoria delle ingiurie transitorie a repudiar questo sangue, mentre l’opportunità ne permette beneficii permanenti.

Capitolo XXV

Quanto alla stirpe Gusicarda, è bene incontentabile colui, l’amore del quale non se li impetra da questo elogio. Per opera dei Guiscardi non sono più né Greci, né Saracini nei regni dell’una e l’altra Sicilia. Et in un benefitio tanto sustantiale volete scrutinare le minuzzaglie di quelle perfettioni che vi si potevano desiderar di più? Vi sete scordati di essere in terra et io mi congratulo con voi perché conversatio vestra in coelis est. Io non {25v} difendo già tutte le attioni fatte da loro in questi tumulti et il principio del mio parlare non fu certo riprensibile per soverchia adulatione. Ricordatevi i titoli che io diedi a Ruggiero. Benché io gli moderi adesso, non gli nego però, ma che occorre tanto riscaldarsi in questo punto? Tutti i principati di conquista soggiacciono alle medesime accuse e non si arriverà mai a trovare in terra questa santa mostruosità che il furore armato voglia fra le felicità delle battaglie studiare i casi di conscienza. Ma trattando del rimedio per le turbolenze imminenti sentite gran cosa, si propone in questi paesi un negotio inaudito di nominarci un re. A queste cure sì fortunate non saremmo giunti mai, se non si distruggeva la tirannide dei Greci e dei Saracini. Si ritrova già in possesso vittorioso un trionfator principalissimo di quelli oppressori, non se gli può levare il dominio, e si dubita se si gli deve dare il titolo? Rispondete se è peggio che Greco, peggio che Saracino, signor no! Si deve prima sacrificar la vita che consacrar la tirannia. A questo io replico così: presupposto che Ruggiero sia stato Greco nel mancamento della fede, Saracino nell’esorbitanze della barbarie, non è più tale. Quei danni tanto horribili che accompagnano li principati di conquista, sono già sofferti, quel {26r} che ci manca per lui è la sicurezza, per noi è la pace. Dell’una e l’altra è desideroso Ruggiero. Per questo si humilia a Vostra Benedittione e per essere re pacifico delle Sicilie la supplica a dichiararlo vassallo stipendiario di San Pietro.

Capitolo XXVI

Il fatto sta, se la Chiesa può in costui assicurarsi della perseveranza. Altrimente non tornerebbe il conto lo stabilire ad uno spregiuro la potenza, acciò poi quando se la vede ben corrobberata, non vi faccia la guerra con i beneficii vostri. Io voglio ancora in questo placar il confessor contradicente e gli offerisco un ostaggio sopra il quale egli potrà quietarsi. Ruggiero non si crede alla tua pietà? Credasi al tuo interesse. L’interesse di stato entra per sicurtà di osservanza in questo contratto. Tutti quei conti che dalla esageratione monastica si calcarono per mostrare che a Ruggiero non si deve credere. Non son certo disprezzabili li feudi delle due Sicilie, si che possano dal supremo signore strapazzarsi a capriccio, ma non sono anco forse onnipotenti, siché con quella fiducia possa un feudatario arrogante vilipendere il patrocinio di Roma. Questi regni sono due gran navilii ma {26v} in quel mediterraneo, dove sempre passeggiano tempeste, chi vuole bene assicurargli, domandi l’ancore alla navicella di Pietro. Un pontefice maltrattato può scatenare contro di loro dal settentrione e dall’occidente venti così terribili che s’accorgano che la fortuna loro sta sempre fra Scilla e Cariddi. Questo interesse, ben ponderato da Ruggiero, connette con vincoli eterni questi regni alla sede Apostolica. In lui poi oltre a questo s’aggiungono le considerationi della persona propria. Certo se egli odia il titolo di tiranno come pericolo di vita, se desidera l’investitura del papa come antemurale del cielo, quando haverà conseguito il suo intento, non sarà tanto destruttore delle sue machine ch’ei voglia poi smantellare il suo trono di queste fortificationi soprahumane. Fin qui è stato nemico persequitato in battaglia, non è parsa a molti inescusabile la sua contumacia. Per l’avvenire sarà figlio incoronato di gloria, sarebbe punibile da tutti la sua perfidia. Non ha sì poco cervello che se egli pensasse a novità, volesse col giuramento dell’obbedienza pregiudicare ai pretesti della ferocia e vituperar la sua causa come tradimento. Fellone verso il benefattore, spregiuro verso Idio, esporrebbe una vita troppo odiosa a maggiori pericoli che non sono al presente quelli dai quali può liberarlo la benedittione {27r} papale. Dunque l’ostaggio è sicuro, non può sospettarsi d’inosservanza in Ruggiero.

Capitolo XXVII

Quando poi egli osservi quel che giura, ecco per opera del beatissimo Innocentio restituita la pace alla Chiesa, introdotta la felicità nelle Sicilie et aggiustato il mondo christiano nell’equilibrio delle potenze rivali. Che benefitio riceveranno queste provincie dalla Sede Apostolica? Padre Santo, questi regni, ardisco dire, i più delitiosi dell’universo, canonizzati dalla fama greca, con favole prodigiose, dotati dalla providenza celeste di miracoli perpetui, opus naturae non solum guadentis sed etiam triumphantis. Quanto alla salute populare, sono stati fin qui i più miserabili dell’Europa, svergognati dalla tirannia greca con sceleraggini postentose, desertati dalla vendita celeste con oppressioni non mai discontinuate, opus fortunae non solum indignantis, sed etiam savientis. Il sangue di questi popoli ha per troppi secoli sfamata la rabbia col ferro di quattro nationi egualmente crudeli, greci, saracini, todeschi, e normandi. Non ci è quasi persona che habbia veduta questa terra senza revolutione. Ecco hora avanti quei santisismi piedi, con i quali è venuta a visitarci la {27v} felicità, genuflessa la comitiva di questi prencipi supplicanti. Nelle nostre preghiere i popoli presenti et i futuri, per essere esauditi da Dio, fanno udirsi da lei et esclamano: pace, pace, non più guerra. Siamo liberi d’ogni giogo straniero, se il liberatore s’incorona per re la residenza regia non sarà in Normandia, ma in Italia. Di usurpatore diventando padrone, e di nemico facendosi padre, ben conoscerà che la nostra conservatione è il suo maggiore interesse e che i baluardi della potenza novella non possono da altri né altrove fabricarsi eterni che dall’amor publico e dentro ai nostri cuori. La successione poi ci farà goder quei frutti, e di utilità e di gloria, i quali germogliano in ogni terra, che essendo madre del proprio prencipe, partorisce ai popoli sodisfatti il medesimo per cittadino in amore e per monarca in Dominio. Quando, quando risuonerà nel tempio festeggiante la supplicata benedittione? Alzi Vostra Santità la destra che fa tremar l’inferno et aprendo il cielo, quieti la terra. Che impedimento potrà mai ritardare un tanto bene? Quella investitura che ella non darebbe al possidente Ruggiero in vigore della sua conquista, la conceda in virtù della nostra o supplica o elettione. In questo scrutinio d’inespugnabile necessità altro pare che non si possa fare, né per via {28r} di persuasione, né per via di violenza, altro pare che non si deva fare, né per rispetto della felicità publica, né per rispetto degl’interessi particolari. Non si fa pregiuditio a veruno. S’introduce la quiete nella Chiesa, si stablisce il feudo a San Pietro, si bilanciano i momento dei principi et alle due Sicilie si dona non solo la salute, ma ancora il principato. {28v}

DISCORSO TERZO

Si dimostra che, se Innocentio Secondo, non ancor liberato, concede l’investitura a Ruggiero Vincitore, non per questo pregiudica alla riputatione del sacerdotio, e si conclude la causa con la coronatione e la pace.

Capitolo Primo

Taceva l’attenzione mentre il prencipe commissario parlava, ma non tacque l’applauso poiché il discorso politico terminò. In quella udienza maestosa si riconobbe subito per aura di favore il sibilo del mormorio e dai cenni dei supercilii pigliava augurii di vittoria l’espettatione dei supplicanti. Doppo breve intervallo il cardinal protettore delle due Sicilie si rivolse al pontefice e con atto riverente, mostrando voler parlare, {29r} cominciò in questa maniera. La riputatione del pontificato è punto così sustantiale fra i principati christiani quanto si stimi necessario il punto del centro fra le machine mondiali, senza questo la filosofia dice che si dissolverebbe l’universo e senza quello la religione insegna che si disordinarebbe il Christianesimo. Beatissimo Padre, questi regni raccomandati al mio patrocinio ci hanno tanto riguardo che esponendo il loro senso con la mia voce, la supplicano genuflessi a lasciar mancare prima la salute a Napoli che la riputatione alla Chiesa. Quanto alla salute del publico, sufficientemente si è discorso dal principe ambasciatore, qunanto alla riputatione del sacerdotio discorrerò io al presente con quella sincerità che mi obliga ad imporporarmi la fronte col sangue, prima che falsificare il consiglio con l’interesse. Entro nel tempio e sacrificando al cielo ogni mio sentimento, spero di mostrare che nell’incoronar Ruggiero il pontificato non si vitupera ma si glorifica.

Capitolo II

Primieramente non si può controvertere quella propositione che con fervido zelo si esagerò. Sarebbe troppo grave scandalo e non deve permettersi mai che San Pietro acquisti {29v} feudi mentre il papa benedica traditori. Nel secondo luogo io lascio passare per hora un presupposto che poi doverà negarsi. Sia Ruggiero traditore, sia impenitente, sia nel colmo delle tirannie (degnisi ponderare Vostra Santità quanto soprabondino le forze al vero) dico nondimeno che si acquisterà riputatione al pontificato nel benedirgli la corona dell’usurpatione. Voglio in questo luogo stabilire una massima tanto inaspettata che alla moltitudine parerebbe una bestemmia punibile. Il benedire e beneficare uno impertinente nell’atto della sceleraggine non è sempre soggestione del Diavolo, ma può essere anco imitatione di Christo. Non ho bisogno di introdurre historie forastiere per testimonianze. Alla perspicacia di Vostra Benedittione haverà subito parlato San Paolo. Egli può ricordargli che questo paradosso strano è un esempio domestico perché Christo lo promosse al principato della Chiesa mentre egli correva alla persecutione dei fedeli.

Capitolo III

Prudentemente si fecero molte reflessioni sopra i due gran personaggi, Innocentio e Ruggiero. Hora io voglio aggiungerne alcun’altra nell’esempio proposto: contemplo Ruggiero in Saulo, Innocentio in Christo. Quanto {30r} alla persecutione contro alla Chiesa possono parere due fratelli binati, che habbiano rappresentanti i due simili in quella tragedia purtroppo vera. Sono bene dissimilissimi in tutte le altre differenze della propra conditione. Saulo, un conciator di pelli, la cui pueritia si notificò alla fama col serbar i vestimenti sordidi a quei mascalzoni che nella contrada publica furono con le sassate i carnefici di Stefano. Ruggiero, un monarca di Sicilia, la cui gioventù ricoperse la perfidia col trionfo che poi assaltato, seppe levar la spada di mano agl’imperatori armati e poté mettere in catene i pontefici bellicosi. Questa meditatione è degna di tanta audienza. Seguitiamola. Si risolve Giesù Christo di far suoi l’uno e l’altro nel colmo dele persecutioni. Però con quante diverse scene? Fa vedersi egli proprio al conciator di pelli fra le nubi del cielo, radiato con i lampi del sole, tonante con i fulmini di Giove e mostrandosi con tutta la maestà, appropriata dall’idolatria agli dei, si fece riconoscere per il vero possessore dell’onnipotenza. Ben poteva in quella comparsa di spavento saulo abbarbagliato esclamare, ecce Deus. Al monarca persecutore comparisce Christo, non in persona propria, ma rappresentato nel suo vicario et in questo medesimo si spoglia l’armatura della potenza, si rende inefficaci gl’anatemi et infelici le battaglie, si lascia {30v} condurre catturato nelle forze violente, si vede flagellato da persecutioni che scandalizzano il mondo. Et Innocentio potrà soggiungere, lo sento coronato di spine che trafiggono l’anima a questo Dio esinanito ben può dirsi: ecce homo.

Capitolo IV

Soprabonderebbero troppe meditationi in un campo tanto fecondo, io ne eleggo due sole, le più coherenti al negotio proposto. La prima è: volendo Christo convertire l’uno e l’altro perché elegge per tempo del suo beneplacito il colmo delle loro violenze? Comparisce quando Saulo perseguita la Chiesa, quando Ruggiero imprigiona il pontefice? La risposta non è astrusa. Questo è uno stratagemma di misericordia per confusione dell’inferno. Mentre Dio in persecutori famosi previene il pentimento con la clemenza e toglie i guerrieri all’ingiustitia, quando l’ostinatione si stipendia con la prosperità, resta propriamente svergognato Lucifero. Si costringe pure in quelle perdite inopinate a conoscere che egli non possiede stabili nell’arbitrio humano e che tutta la sua potenza è permissione limitata non dominio assoluto. Per questo io non so comprendere perché adesso non possa trattare Innocen – {31r} tio con Ruggiero vittorioso come trattò Christo con Saulo Persecutore e chiamandolo alla benedittione dirli: Saule, Saule, cur me persequeris?

Capitolo V

Leviamo gli scrupoli alla coscienza e gli scandali alla fama. Beatissimo Padre, ella mi permetta che a questo fine s’introduca una meditatione che per breve tempo costituisca la sua persona nell’infelicità. Vedrassi in questa rappresentatione di miserie meditate campeggiare mirabilmente la partialità del cielo inverso di Vostra Benedittione e si acorgeranno tutti che agl’huomini pare talvolta incomportabile una conditione che doverebbe per giuste ragioni esser desiderata. Riconduciamo in questa scena quel Pasquale secondo prigione di Henrico Quarto et immaginiamoci che Innocentio Secondo, carcerato da Ruggiero Guiscardo, muti per un poco la sorte presente con quel suo antecessore. È forza uscire di queste delitie napolitane a chi vuole stare in quella afflitta fantasia. Ecco io mi figuro Innocentio esiliato fra le spelonche d’un Alpe discoscesa, si spoglia ingiuriosamente del manto pontificale, si strapazza dall’insolenza, si deride dall’impietà. Sento poi intimargli quel monitorio di tirannia dishumanata che si protesta di volersi lavar le mani nel sangue {31v} di tutti noi, se egli niega d’incoronar l’impenitenza. Io voglio parlare adesso col zelante secretario della coscienza papale. Vi chiamo per spettatore in questa agonia, v’introduco per autore in tutto il negotio. Non paia fatica all’humiltà monastica il fingersi che Innocentio in quelle angustie elegga per suo nuntio voi solo, il cui zelo è lingua di foco et arme di luce. Già vi vedo entrar supplicante avanti a Ruggiero indiavolito, sento che introducete Innocentio mortificato a dirli per primo saluto non già con minaccie, ma con preghiere, Saule, Saule cur me perseqeris? Lascio tutti quei motivi che nel maneggiare il negotio con vehemenza cautelata si metterebbero in opera da sacerdote tanto insigne. Voglio farvi questo honore. Presuppongo felicità effettiva nella vostra nunciatura imaginaria. Havete ridotto Ruggiero da quelli strapazzamenti barbari a trattarci con questa benefica, dite pure hipocrisia, se non volete dire humiltà.

Capitolo VI

Non perdiamo per ancora di vista quelle afflittioni proposte, le quali servono per giuste misure del ben presente. Rivolgete qualche occhiata a quei che vi aspettano. Ohimè, che palpitationi di cuore vengono al pontefice {32r} angariato che deliquii di spirito al clero atterrito finché nella vostra risposta tuoni l’oracolo della necessità. Non vedete voi incontrarsi il vostro ritorno da tutta la gierarchia ansiosa? Non vedete gli sguardi della moltitudine impatiente che specola negl’atti delle vostre ciglia le costellationi della sua fortuna? Che armonia di cielo, che tromba di salute sarebbe la vostra voce, quando, inalzandola con tuono di giubilo, esclamasse Dominust regnavit, cor regis in manu Domini. Le minaccie si convertono in suppliche e gli strapazzi in ossequii. L’oppressore diventerà servente et il prigioniero si tratterà come monarca. Presuppongo poi che esponessi tutte le petitioni di gratie, tutte le offerte di tributi, che nel negotio sustantiale si fanno adesso da Ruggiero ad Innocentio. Non può dubitarsene. La resurrettione delle speranze publiche sarebbe un miracolo della vostra comparsa. Quando poi il pontefice si vedesse trasfigurato da quello squallore in questa maestà, quando tutti noi godessimo come frutti della vostra ambasciata le cortesie della splendidezza regia, sapete come si parlarebbe di voi? S’inventarebbero concetti, si formerebbero panegirici, si direbbe, il discepolo di Bernardo è stato l’angelo del Paradiso che ha sciolte le catene a San Pietro. In queso eliseo è duplicato lo spirito {32v} del suo elia. Questo è il Boanerges della Chiesa sopra i potentati dell’universo, ci pareresti un Christo quando liberò i patriarchi dal limbo, si tingerebbero di rosso per vergogna le nostre faccie, mentre vedessimo la porpora dell’apostolato sopra le nostre fronti e non sopra la vostra.

Capitolo VII

Lasciamo la meditatione e ritorniamo all’esperienza. Tutto quello che noi fingevamo conseguito dal confessore, lo vediamo effettuato da Christo. Sopra si disse che quando il papa cadde nel laccio della captività, Christo comparve in forma di servo e nel suo vicario oppresso, si mostrò ecce homo al vincitore orgoglioso in quella, benché tanto humiliata apparenza, gli disse però nel cuore: Ruggerie, Ruggerie, cur me persequeris? Questa vocatione fece subito germogliare frutti d’honore e noi li godiamo adesso nei tanto nobili trattamenti che si fanno a Vostra Benedittione in questo reame. Certo il buon monaco non mi negherà questo. Se la conditione del presente stato fosse opera della sua facondia, non sarebbe tanto rigoroso in declamare contro il nome di Ruggiero, come ha fatto e consiglierebbe Vostra Santità a perfettionar l’impresa con la mansuetudine. Non {33r} è già dovere che egli la disfavorisca mentre il benefitio finto in lui si effettuò da Dio. Aggiungo quest’altro punto di gran momento e si effettuò in un subito. È ingrato, è insipido chi perde il senso del gusto nella perpetuità del bene. Noi tanto più ringratiaremo Iddio, tanto più doviamo protegger Ruggiero, mentre per mezo suo le braccia dell’avversità ci tengono in seno dell’amorevolezza et non ha fatto precedere i patimenti di Pasquale per render godibile la cortesia d’Innocentio.

Capitolo VIII

Passiamo alla seconda meditatione. Perché Giesù Christo al trionfatore armato si fa vedere, ecce homo, al pellicciaio insolentito si fa vedere, ecce Deus? Mostrò che maggior potenza ci vuole in fare un apostolo che nell’humiliare un re, che non si sdegna d’impiegare la maestà nel convertire un artiggiano e non ha bisogno d’impiegarla nel soggiogare un tiranno. Parlo in una audienza dove più scoprono i vostri pensieri che non additano le mie parole. Ristringhiamo il discorso in un punto più appropriato a Vostra Santità, perché Giesù Christo ad un potentato così formidabile comparisce catturato nel pontefice romano? Rispondo, per gloria maggiore del pontificato. Degnisi Vostra Santità di continuare sì benigna attentione. Narrano le antiche historie che {33v} l’imperator Valeriano nell’estrema sua vecchiaia fu prigioniero di Sopore, re di Persia. Possedeva allora quel cesare altri stati temporali che non possiede papa Innocentio adesso. Regnò poco doppo il tempo di Traiano, e sebene il nome di questo sventurato serve per memoria locale alla prima declinatione dell’imperio, con tutto ciò si manteneva pur ancora tributario al suo scettro tutto il mondo romano che si chiamava tutto il mondo. Era poi tanto autorizzata nella pubblica veneratione la maestà dei cesari che la fama mentre diventavano cadaveri gli faceva dei. Hora Valeriano obbedito da tante provincie, canonizzato da tanta gloria, e come nella sua captività fu trattato nella Persia? Quando il suo vincitore voleva salire a cavallo, stimò degno scabello del piè barbarico il tergo depresso di quel principe inginocchiato, sopra il quale molto più che sopra le spalle d’Atlante si vedeva riposarsi l’universo. E non temé quel persiano in un tanto vilipendio l’ira del mondo, troppo strapazzato nel suo monarca, e derise l’ira del cielo troppo svergogniato in un personaggio che la fama predestinava alla deità? S’imparò in quella scena che cosa sia la maestà disarmata di forze e si vidde che un augusto senza fortuna è poco più che unc adavero senza vita. {34r}

Capitolo XI

Quanto è diverso il caso nostro, o Padre, anche nelle disaventubre Beatissimo. O gloria di Giesù Christo o Trionfo di San Pietro. Qui il trionfante imprime baci sopra i piedi del vinto e dal suo prigioniero il possessore armato chiede in gratia il suo regno. Se questa humiliatione si facesse ad un papa, quando si vede attorno per cortigiani gl’eserciti e per palafreniesi i re, si potrebbe sospettare che ella non fusse verace reverenza, ma necessitato spavento. Ancora ad un Attila armato et ad uno macomettano vittorioso si sarebbe humiliato Ruggiero. Ma rivolga gl’occhi nel teatro di Napoli tutta la congiura dei tiranni confusi. Può un papa disarmarsi talhora di forze temporali, ma pensate che per questo gli sia per mancare la giurisdittione divina? In questo gran negotiato degno da pubblicarsi a tutti i secoli si manifesta quanto il pontificato si esalti sopra le altre monarchie. Nel vicario di Dio le catene non pregiudicano ai trionfi et egli non perde la superiorità nelle perdite, può donare i regni quando è privo di libertà, ha per serventi i re nemici quando vede sconfitti i proprii eserciti. Che più? Pare che infino nell’angustie della carcere inalzi un tribunale d’onnipotenza mentre adesso per stabilire un principato novello, tanto più si stimala benedittione d’un prigioniero che la {34v} soldatesca di due regni. Restano dunque nella benedittione di Ruggiero stabiliti questi due punti che sono i due poli del governo mondano, la salute dei popoli e la gloria del sacerdotio.

Capitolo X

Esaminiamo adesso quel’impedimento, qual machina possa mai persuadere un pontefice ad una repulsa che spinga nel precipitio l’Italia vacillante e tolga sì specioso trionfo alla Chiesa. Sento in questo luogo il zelo insuperabile del monaco scrupuloso che mi risponde. Ammettansi i due antecetendi rispetto all’Italia et al pontificato, non per questo si concede la conclusione in ordine all’investitura. Se sono ottime le cause, il soggetto è incapace e Ruggiero, non volendo mostrar pentimento, non può ricevere assolutione. Il dubbio in queste poche parole concepisce tanta violenza che pare in poche esalationi un fulmine cum carbonibus desolatoriis potente a spiantare tutte le fabbriche edificate fin qui. Esaminiamolo con accuratezza che io spero farlo riconoscere per lampo senza colpo. Comincio a concedere a voi questo. L’assolutione del sacerdotio non deve mai per alcun rispetto humano profanarsi talmente che ella si conceda all’impenitenza dell’impietà. Et in Roma prima si devono aggiustare i negotii del cielo e poi calcularsi gl’interessi {35r} della terra. Per questo io alzo la voce e mi dichiaro, se Ruggiero ostenta perfidia, non impetri benedittione. Abbandonisi nelle fauci dell’inferno, non ostante che una negativa imperterrita riuscisse un terremoto rovinoso revelaret fundamenta orbis terrarum. Che dite? Non sete sodisfatto di queso zelo?

Capitolo XI

Voglio io adesso costringer voi a concedere a me quel che forse non prevedete. Qui è tempo che io ritratti con verità quel che sopra si lasciò passare per suppositione. Nego che Ruggiero persista ostinato. Asserisco che in esso son palesi i segni della necessaria penitenza, quanto all’effetto preteso s’intende l’apparente, non è necessaria l’interna. La Chiesa che nel foro esteriore non giudica le intentioni occulte, concede giustificata assolutione alla bontà palese, se poi sotto questa si nascondesse la fraude, allora il giuditio si trasferisce al tribunale del cuore che è quello di Dio. Noi però nel deliberar questa concessione doviamo in Ruggiero badare più ai fatti che ai pensieri, molto alle mani e poco al cuore. In questa opportunità io supplico Vostra Benedittione a ponderare questo motivo. Per impetrar l’investitura non si propone la contributione di Ruggiero ma {35v} la salute del publico. Et è verissimo quel che si disse, se resta impenitente, la mala intentione pregiudicherà a lui solo, se rimane incoronato, la concordia opportuna gioverà a tutto il Christianesimo.

Capitolo XII

Due sono le oppositioni potissime che si piantano sulle porte del Vaticano come due Cherubini con le spade ardenti, per interdire l’ingresso del paradiso a Ruggiero. Esclama con ragione il monaco, prima, perché catturò il pontefice? Secondo, perché non lo libera? Implica contradittione che apparisca contrito chi persiste ostinato, la difficultà a molti pare inespugnabile, per superarla a me sarà necessario d’entrare in materie di qualche gelosia, Beatissimo Padre. Io non ardisco tentarlo, se prima da un suo cenno non impetro la licenza. Veggio haverla ottenuta dall’abbassamento di quel supercilio, sopra il quale ha sì bella residenza la maestà cortese. Primieramente io rendo gratie a Dio che io parlo ad un pontefice, il quale non confonde la religione con l’interesse, che distingue i negotii temporali dai sacri, che non chiama empio qualunque contradice al suo senso. Avvertisca quanto si confidi nella sua disinteressata charità. In questa controversia, dove Vostra Benedittione è parte, {36r} ella non si repudia per giudice, si spera bene che il giudice sia tanto misericordioso che non si sdegni di assistere come avvocato.

Capitolo XIII

A coteste orecchie tanto gloriosamente patienti ancora della verità disgustosa, Ruggiero, col ministerio della mia voce, rappresenta la prima discolpa così. “Rinuncio a quella difesa troppo superba, totalmente barbara. Victoria rationem non reddi. Sul bastare ai vinti l’impetrar la clemenza del vincitore, senza litigar la giustitia della sconfitta. Io voglio costituirmi in mezzo al trionfo come reo all’esamine, e consento nella iurisdittione di chi non può fuggire la mia violenza. Discorro così. Innocentio è vicario di Dio et è principe di Roma, due persone ancora hoggi distinte perché già furono separate. Il suo arbitrio mi mosse guerra con l’armi e con l’armi la natura mi costrinse a procurarmi la difesa. Qual causa era la più giusta? Non deve alcuno tanto appasionarsi in favor suo che voglia negare che nelle liti armate troppo sono disputabili le ragioni delle parti. La sorte (per non dire hora vocabolo più venerando, cioè Iddio) concesse a me la vittoria, hora che gran delitto è questo? Legai chi mi percuoteva, tolsi la spada a chi voleva tormi la vita, impedisco all’avversario le possibilità del nuocermi. Ho dunque in campo di battaglia dove {36v} si trattavano differenze politiche catturato dalla persona d’Innocentio, non il pontefice della Chiesa Cattolica, ma il generale dell’esercito nemico.

Capitolo XIV

Non separo tanto quei due attributi che io mi scordi che in sostanza essi sono un huomo solo, però quanto al trattare Innocentio, nelle mie forze mi scordo che egli sia nemico e mi ricordo che è papa. Perché non resti controverso il mio ossequio, diasi un’occhiata alla regia d’Innocentio che è Roma et alla carcere d’Innocentio che è Napoli. Che differenze? Egli potrà ricordarsi che accidente pochi anni sono lo necessitò a fuggire dal solio apostolico. Tuonavano le minaccie fra gl’altari, grandinavano le tegole delle finestre, folgoravano le spade nelle contrade dentro all’istessa Roma contro al pontefice romano e gli commossero contro una tempesta così crudele che egli haverebbe fatto naufragio nel sangue proprio, se non volava a pigliar porto di sicurrezza in Pisa. In Napoli egli non niegherà che le genuflessioni dei prencip,i gl’applausi dei popoli, e gl’ossequii del vincitore non riconoscano e non adorino in lui la maestà del vicariato divino, che ancora nelle sconfitte trionfa. Così mediante la mia debita pietà, Innocentio nella sua regia {37r} parve un fuoruscito, nella mia custodia pare il monarca.” Così parla Ruggiero e così si difende contro la prima querela. Io non voglio in un articolo tale interporre il mio giuditio. Al mio affetto non sodisfarà mai scusa alcuna si che non mi paia un portento d’iniquità la prigonia d’un papa. Dico ben questo. Se l’ingegno di Vostra Santità pigliasse il patrocinio di questa causa, ella saperebbe tanto corroborare l’informatione di Ruggiero che io, senza esser profeta, saprei pronosticarli l’assolutione.

Capitolo XV

Era la secconda accusa. Se Ruggiero tratta Innocentio come pontefice perché non lo libera? Devonsi sopra questo interrogatorio bilanciare alcuni interessi, nei quali perché egli studia di meritar la gratia con l’humiltà, non vorrebbe esser introdotto a parlare prudentemente, è bene che i punti pericolosi si maneggino da persona terza acciò in ogni ogni minima ombra di disgusto la colpa possa attribuirsi al procuratore e non al principale. Beatisismo Padre, il consiglio de’ suoi adherenti risponde così? Quia in pontefice hominem cogitat e l’esperienza insegna che un sacerdote, mentre diventa papa, non lascia di esser huomo. Hora nel papa egli adora la luogotenenza di Dio, nell’huomo teme la possibilità dell’inganno. Le nimicitie che {37v} sono passate sanguinolente fra questi due rendono scusabile in Ruggiero ogni diffidenza et altretanto la rendono lodabile in sua santità. Egli sospetta che il papa faccia le vendette con nuovi tedeschi, il papa sospetta che egli sbizzarrisca la ferocità con nuove ribellioni. Qui già si honora la preminenza del sacerdotio, compongasi dunque ancora la controversia di stato. È necessario inventar modo per la sicurezza reciproca, altrimente nessuno è in obligo in un timore tanto giustificato a rimettere in potenza chi gli machina l’esterminio. Fermisi dunque Innocentio più tosto trattenuto che catturato e camini unitamente alla perpetuità della concordia. Trovinsi da una parte e dall’altra fideiussori e gl’ostaggi, il negotio è facile. Dia Innocentio il vassallaggio. Resterà così stabilita con idonea sicurtà la pace futura.

Capitolo XVI

Così parlano i procuratori di Ruggiero, egli però incamina il suo negotio per altra strada, volendo che il pentimento lo manifesti capace della benedittione. Voglio leggere in questo suo concistoro un suo memoriale acciò la sommessione del regnante ponga silentio alle contradittioni dello scrupolo. {38r} “Io Ruggiero, possessore armato dell’una e l’altra Sicilia, genuflesso avanti alli piedi del sommo Pontefice Innocentio Secondo, lo supplico per le piaghe del Dio Crocifisso a dimenticarsi le hostilità fatte a me e perdonarmi le ingiurie fatte a lui. Dichiaro con la presente che ogni monarchia, non benedetta dal sacerdotio, è tirannide, fomentata dal Diavolo. Però depongo sotto i piedi di Sua Santità le corone conquistate con la spada, confesso non haver giurisdittione legitima sopra i regni posseduti e repudio come nulli i titoli regii impetrati dall’antipapa scismatico. Hora, poiché gl’accidenti del mondo hanno ridotte le cose in termine tale, che si apprende per servitio publico il mio principato, desiderando che soprabondi la gratia, dove non pretende la giustitia, vengo a chiedere l’investitura dal vicario di quel Dio che trasnfert regna atque constituit. Farò che i possessi della mia spada si chiamino feudi di San Pietro et, eleggendo esser vassallo dove potrei mantenermi monarca, leverò al mio arbitrio la possibilità del pentirsi con la religione del giuramento e con l’oblatione del tributo. “

Non si può sentire questo memoriale e chiamare impenitente Ruggiero. Io confesso che egli non l’ha scritto con le parole, però me l’ha dettato con l’opere, questo sono i più sicuri caratteri con i quali si dichiara il cuore humano, queste adesso nello scrutinio del necessario pentimento non solo {38v} manifestano l’apparenza ma ancora persuadono l’intentione. Con queste egli scrive di non havere tutto quello che chiede rinuntia, tutto quello che acquistò, condanna la violenza dell’armi felici. Questi termini al certo mostrano pentito, non ostinato. Professa poi di ritener Vostra Santità in Napoli più con le preghiere che con le violenze in hospitio, non in carcere, come padrone, non come servo, per l’accomodamento del publico bene, non per pompa del suo trionfo. Dunque, se la salute d’Italia e la riputatione del pontificato consigliavano questa investitura, non può opporsi per ritardarla l’incapacità del soggetto.

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