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Discorso Secondo di Giovanni Ciampoli

Discorso secondo

{11v} Discorso secondo

Si propongono le ragioni politiche per le quali Innocentio Secondo deve concedere a Ruggiero Guiscardo l’investitura delle possedute Sicilie.

Capitolo Primo

Fervido fu il zelo, col quale declamò l’assessore della conscienza papale. Si genuflesse immediatamente il commisario dei principi supplicanti, e portando nella sua voce i voti delle due Sicilie, rispose così: speciosi vocaboli sogliono empire spesso la bocca a quei filosofi contemplativi che intenti a beatificare un genio astratto, sognano idee di perfettione perché non praticano i bisogni del mondo. Noi, Beatissimo Padre, addisciplinati dall’esperienza, cercheremo prima gli effetti salutiferi che le parole pompose. Un motivo solo s’introdurrà da noi senza corteggio d’amplificatione per consigliero avanti la Santità Vostra acciò a Ruggiero si ottenga la benedittione e l’investitura. E quale sarà? La salute d’Italia e per conseguenza la quiete del {12r} christianesimo. Lascieremo a più sublime eloquenza discorrere il punto della religione.

Capitolo II

Qui non si tratta, Beatissimo Padre, di rifare un mondo nuovo, è necessario governare il mondo presente, se bene già fatto da Dio, però sempre putrefatto dal peccato. Se il confessore zelante m’interrogasse: ti piace lo stato presente? Risponderei: no! Se replicasse: cercheresti mutarlo? Reciterei l’istessa negativa e direi no! Come dunque desideri quel che ti spiace? Non lo desidero, ma lo tollero. Dove non può dominar l’arbitrio procuriamo di mansuefar la necessità. Se i desiderii del popolo fussero gl’architetti dei principati io vorrei non minori prerogative in un re che S. Paolo non ricerca in un vescovo. Confesso poi che quelle gemme del cielo non risplenderanno nelle corone dei Normandi. Ma bisogna discernere quel che si può fare, non quel che si vorrebbe. La necessità ottiene la dispensa contro alla legge e la iurisdittione ecclesiastica deve governarsi talmente con la potenza temporale che il zelo si contemperi con la possibilità. San Pietro ne diede la prima lettione a tutti i successori. Non procede a dichiaratione alcuna contro la tirannia di Nerone, ogni {12v} tentativo contro a quell’empio sarebbe stato un impedimento contro all’evangelio e non sarebbe zelo, sarebbe furore, l’inimicarsi le forze dei principati quando si cerca il regno alla fede. Noi viviamo in una età che mettendo alle mani il sacerdotio con l’imperio ha populata di cadaveri e sotterrata nel sangue l’Europa. Oh Dio, lenitivi, soporiferi, temperamenti ci vogliono per addormentar le discordie et ogni partito che si elegga per rimedio della Christianità esulcercata, sarà giusto. Eh come no? Infino il veleno diventa spesso medicina quando contemperato in una bevanda può restituire la salute agl’infermi, et al’hora quel che apparisce iniquità è giustitia, quando adoprato con prudenza, può intordur la pace nella republica. Pensano questi scrupulosi che nelle nostre teste non segua più d’uno ammutinamento di pensieri tumultuarii che gridano all’arme e con una superbia disperata esclamano che è meglio esser cadaveri nella campagna che sudditi alla tirannide? Però gl’interessi publici non devono havere per consigliere le furie , e quella che par generosità è pazzia, quando con lo spargimento del sangue, non si fa altro guadagno che satollare la rabbia dei nemici. Un traditor di parenti, un persecutor de’ pontefici, un maladetto da Dio è {13r} nostro tiranno esagerate quanto vi piace. Piacesse al cielo che potessimo negarlo. Però noi siamo ridotti in queste angustie, se non vogliamo essere le pesti della patria, i fomiti dello scisma, i terremoti dell’europa, siamo necessitati a supplicar Vostra Santità che ci conceda il tiranno per re. Asserisco che nelle presenti congiunture ogni motivo di novità costituerà il mondo e la Chiesa in stato miserabilissimo.

Capitolo III

Discendiamo un poco più ai particolari. Che vogliamo fare? Cacciar Ruggiero? E come? Con la persuasione o con la violenza? Questo è negotio che non può concludersi senza lui. Questa volta si io confesserò, che nelle controversie di stato le parole vagliono più che gli’eserciti, se si trova facondia che persuada Ruggiero a partirsi. Efficace oratore può essere in questo negotio Henrico Terzo. Prudentemente fu citato a questo effetto e veramente io non so se in una moltitudine di secoli s’incontrerà mai più uno spettacolo così terribile per scuorare i tiranni scommunicati. Pure è gran cosa. Egli non poté persuadere questa dottrina al proprio figlio. Henrico Quarto che fu non solo spettatore, ma autore della miseria paterna, non recusò il patrimonio dell’impietà scismatica, anci con inventate sceleraggini l’augmentò. Hora nel proposito nostro le circostanze {13v} sono differenti, l’esempio non è domestico, lo spettacolo non è presente, poco ci è da sperare che possa persuadersi Ruggiero.

Capitolo IV

Non niego già che un tanto personaggio gli sia per insegnare a temere. Però avvertiamo: non ogni timore è quieto, tal hora la timidità conduce alla temerità e la disperatione cerca franchigia nel precipitio. S’introdusse la favola di origene per incorporare l’Encelado di Mongibello nella persona di Ruggiero. Maestosa hiperbole, ma imparate anco da quella favola che Encelado fulminato una volta, fulmina sempre. Guai al cielo, se potesse ricevere dalle fiamme del gigante quei nocumenti che può ricevere Roma dall’armi di Ruggiero. Voglio inferire che il violentato spavento che in questo audace s’internerà dall’anatema, li persuaderà più tosto a fulminare il Vaticano che a deporre il regno. Questo cervello smoderato si diletta di lodi superboliche. Io viddi propriamente la superbia imbriacata d’allegrezza, quando in lode della potenza normanda gli fu presentata una lusinga poetica da un ingegno siracusano. Trattando quando Gregorio Settimo fugò di Roma, Henrico Terzo col traccio di Ruberto Guiscardo, entrava il poeta a concettizzare che sicome Giove non haverebbe havuti fulmini per debellare i giganti, se a lui {14r} non gli fabricava la Sicilia, così San Pietro non haverebbe armi per atterrire gl’imperatori, se dalle due Sicilie non le prestasse loro l’amicitia Guiscarda. Uno spirito impastato di questi vanti difficilmente peccarà in pusillanimità nel perdere i regni. Prima che io passi più oltre, voglio confessare un mio senso. Quell’esempio di Henrico Terzo è bene gloria del pontificato, ma non è già prosperità d’Europa. Io non desidero di vederne rinovata l’esperienza. La scommunica in lui operò, è vero, ma in quanto tempo e con quali accidenti? Ci volsero ben cinquant’anni interi e con le viscere dell’Europa, col sangue christianesimo, con le ceneri delle chiese, si compose l’elettuario che condusse a postema tanta putredine. Io vi dimostrerò hor hora che non minor rovina si può aspettare mentre si esasperi, e prima che si disarmi Ruggiero. Concludo questo quanto al persuaderlo chi lo spera è un buon huomo. Pensate se egli haverà usurpato un regno per fare un voto d’obbedienza? Vorrà prima non vivere che non regnare, vorrà poter accusare di mancamento la fortuna e non mai sé stesso.

Capitolo V

Facciamo pure i conti con l’altra parte et esaminiamo se egli potrà cacciarsi con violenza. Asserisco nel medesimo tempo {14v} due cose. Mentre io dimostrerò che questo non può facilmente eseguirsi, apparirà ancora che non deva inconsideratamente desiderarsi. Quanto alle difficoltà, il presente stato non mostra Roma superiore di forze a Napoli, grande animo ha chi mentre non può levarsi le catene nella prigione, spera di metterle al vincitore nella battaglia. Questo sarebbe propriamente uno sperare in spem contra spem. Lo fece Abramo e si lodò, però egli oppose alla fallacia dell’esperienza, l’infallibilità della revelatione. Se Vostra Santità ha queste promesse da Dio io taccio, ma se si deve ponderare la possibilità humana, i papi armati hanno havuto campo di tesaurizzare gran patienza nella moltitudine delle sconfitte. Roma si trova lacerata da troppe guerre e distratta dalle continue seditioni, in effetto snervata di forze, ma ci è peggio. Non so quanto in questi tempi sia desiderabile ai pontefici il vedere Roma potente, mentre tanto l’esperimentano ribella.

Capitolo VI

Sarà dunque necessitato papa Innocentio ad implorare gl’aiuti di Germania. Di questi il numero mediocre non basta, fino a qui le vittorie di Puglia sono sencite ai tedeschi per pompe di funerali, e l’imperator Lothario, mentre con la presenza vinse assai e con la partita perde il tutto, non ha in sostanza {15r} persuaso altro a queste nationi, se non che la spada di Ruggiero si conservi invitta infino contro alle vittorie e sia incantata dal fato contro il sacerdotio e l’imperio. Bisognerà dunque che ella faccia ogni sforzo per sboccare sopra queste provincie tutto il settentrione armato. Se questo negotio, che pure è tanto difficultoso, le riesca facile, non scorge Vostra Santità in questo pensiero un baratro di precipitii? Chi forma questo voto non può essere esaudito dai cieli se non irati. Mette forse conto ai pontefici tante volte traditi il raggirarsi intorno gl’eserciti imperiali? Gli esempli sono così frequenti che il papato lungamente si ricorderà con spavento che cosa sia Germania in Roma.

Capitolo VII

Quanto agl’interessi nostri, o Napoli o Sicilia che sarà di voi? Subito che il pontefice comincerà a fare le preparationi della guerra, Ruggiero ci darà il sacco con le impositioni. Ma quello che è l’estremo delle miserie, si violenteranno questi popoli tanto devoti a San Pietro di pigliare l’armi scommunicare contro alla Chiesa, e sacrificando l’anime alla tirannide, mescere il sangue degl’ecclesiastici al diavolo. Voglio fare alla giusta causa augurii fortunati, presuppongo che a Vostra Santità sia per toccar la vittoria, ohimè, calamità speciosa che metterà assai più vincoli alle mani {15v} pontificie che non fa la prigionia presente. Vittoria che sarà più tedesca che romana. E pur troppo manifesto che le militie straniere, quando sono vincitrici, vogliono prima dar le leggi ai principi soccorsi che lasciar ad essi i regni conquistati. Quanto a questi popoli, in quel caso le viscere italiane saranno macellate dalle spade alemanne e quella barbarie insolentita sotto pretesto di difender la Chiesa si proverà di distrugger la fede. Non può dunque e non deve violentarsi Ruggiero per parte di Vostra Santità, ma non può e non deve violentarsi per rispetto delle sue forze.

Capitolo VIII

Io ho tenuto fin qui nelle fattioni del nostro discorso Ruggiero retirato da una parte come se egli fusse un gigante di legno; non è pericolo ch’eii riesca tale, tacciamolo entrare in campo adesso per non haver a temerlo poi. Nelle due Sicilie ha forze così poderose e così unite che forse potrà fare resistenza imperterrita senza soccorsi forestieri. Ma quando egli si veda derelitto dalla fortuna, egli per difendersi scatenerà contro alla Chiesa satanasso con tutti i diavoli, offerirà ai greci portione di qualche dominio nell’Italia totalmente perduta, ne si vergognerà di confederarsi con quei medesimi Saracini che egli tanto si gloria d’haver {16r} discacciati. Si può conietturare che sarà costretto nei tempi di bisogno a fare con sì fatti defensori capitulationi empie per la religione, vergognose per la sua fama, barbare per questi regni. Però queste eccettioni di vitueprio non gli diminuiranno le speranze del trionfo e le tante piaghe d’Italia mostrano che le armi del mezzogiorno e d’Oriente purtroppo sanno ferire. La prudenza comanda che nelle deliberationi si pensi sempre al peggio per procacciarvi il remedio. Se Ruggiero vince (il che pure non è contingenza inversimile e non sarebbe cosa nuova) come starà la Chiesa? Sto per dire che se volesse esser pio, non potrà. Acquistar la vittoria nella casa propria vuol dire haver alloggiato l’esterminio nei proprii stati. Esausto di denari, furibondo di rabbia, non volendo accoppiare al trionfo il fallimento, manderà le sue arpie a sfamarsi nella mensa di San Pietro. La sorte poi di noi sventurati sarà questa. Doppo havere consumato il sangue, la robba e l’anima, le miserabili reliquie della nostra posterità si ridurranno a sperare come un sogno di beatitudine doppo molte decine d’anni la conditione dello stato presente. Oh Dio, altro non ci mancherebbe, se non che i Saracini come esercitati nella perfidia si prevalessero dell’occasione. E perché non habbiamo a temere che quei barbari quando le forze di {16v} queste provincie saranno attenuate non ci spingano addosso nuovi annibali dall’Africa oltraggiata mettendoci in necessità d’havere ad adorare in questa regia un tiranno macomettano? Malinconica ma necessaria meditatione che a Vostra Santità distillarebbe il cuore in pianto, se ella non ne portasse pronto il rimedio con una benedittione dentro alla mano. Resta sufficientemente provato che Ruggiero non può né persuadersi né sforzarsi e che le violenze contro di lui riuscirebbero rovine sopra a tutti.

Capitolo X (errore di numerazione)

Non paia grave a quell’immenso intelletto nel quale Vostra Benedittione comprende tutto il mondo, il restringersi un poco al particolare di queste provincie. Certo la vastità della monarchia sacra non permette alla vigilanza pastorale il trascurarle. Quanto agl’interessi, può Ruggiero, può qualunque potentato non curarsi di Roma, non può già fare il medesimo un pontefice negli stati loro. Essi non hanno cosa propria da custodire in quella città, dove non tengono e non possono pretendere padronanza. Ma un papa? Tiene impegnati nelle forze d’ogni prencipe troppi depositi del fidecommisso celeste. Nei reami stranieri oltre al’entrate del clero che sono i patrimonii di Christo oltre a tanti monasterii che sono fortezze {17r} ecclesiastiche. Il pontefice almeno almeno in ogni città possiede un vescovado, in ogni quartiere una parocchia, in ogni corpo un’anima. Questa illimitata iurisdittione, mentre lo introduce a dominare nel territorio di tutti, lo necessità ancora ad una caritativa servitù verso tutti. S. Paolo gli mette le parole in bocca, egl’imprime l’inquietudine nel cuore mentre dice: Quis infirmatur et ego non infirmor? Hora fra tutte le altre del mondo christiano, queste nostre provincie godono per questo rispetto prerogative singolari, sono incorporate per la vicinanza con Roma, sono dependenti con l’investitura da San Pietro, questo vuol dire quando nei tumulti loro si mantenesse immota ogn’altra parte d’Europa, stimerebbe Vostra Benedittione, trafitto il suo cuore da tutte quelle spade che s’insanguinassero nel seno delle due Sicilie. Dai loro interessi proprii parlerò al presente.

Capitolo XI

Primieramente qui non ci è stirpe pretendente. E quando ella ci fusse? Non sarebbe già dovere l’esporre tante provincie all’esterminio per validare le ragioni d’una casa. La giustitia bene ordinata ha fatto i prencipi per tutele dei popoli e non i popoli per vittime dei prencipi. Ma passiamo avanti. Gl’ultimi nostri oppressori sono stati {17v} Greci e Saracini. Vorrei propriamente sentire qualche gran avvocato che disputasse a quali di queste due nationi si deva rilassare per giustitia il mandato recuperanda possessionis. Quale è peggiore? Quanto al nome non se ne dubita. Troppo più risplendono quei vocaboli d’Imperio e di Grecia che quei di Macometto e d’Arabia. Quanto alla sostanza, io non mi risolvo. Si ribella a Dio, rinega l’humanità chi desidera il dominio dei Saracini. Più di trecento anni la nostra Sicilia ha sofferto quel giogo diabolico. Non sono soldati ma assassini, non hanno principato ma latrocinio, mentre disertano il mondo, se la pigliano col cielo. E ho forse che tanta empietà si può frenare con lo spavento? Ohimè, quanto è poderosa? Ohimè, quanto è tirannica? La Persia, l’Armenia, la Soria, l’Egitto, l’Africa, Cipro, la Spagna, la Gallia, la Sicilia, la Calabria, Roma, tanta moltitudine di nomi trionfali si registra da loro nel catalogo dei potentati sconfitti. Imposero tributo pecuniario prima a Giustinianio Imperatore e poi a Giovanni Ottavo Pontefice, ma nella Spagna assegnarono un datio di vergini christiane all’impudicitia moresca. In Roma dalle due basiliche delli due apostoli rapirono le spoglie sacre per offerirle con ludibrio del vicariato divino alle meschite di Macometto. Questo sfogo non {18r} era necessario per dissuaderne i desiderii riuscirà bene opportuno per glorificarne i liberatori.

Capitolo XII

Venghiamo ai Greci. Che teste vane? Gonfi per la fama dell’antica litteratura non possono comportare il giogo del Primato Romano. Quanto fu sempre perniciosa alla Chiesa la loro potenza? Pretesero infino che l’elettioni dello Spirito Santo dovessero autenticarsi col placet dell’imperatore greco, e volsero che un papa non potesse prendere il governo in Roma se prima non mandava il tributo in Costantinopoli. Quelli altri interessi di religione che Dio confida al maneggio di Vostra Santità non permettono al sicuro che ella brami Grecia confinante con Roma. Quanto poi all’esperienze che sono toccate a noi, noi faremo all’età future questa fede. Dove i filosofi greci insegnarono tutte le virtù con gli scritti et i prencipi greci insegnano tutte le sceleraggini con le opere. Non si trova homicciattolo tra coloro che non habbia hereditato da suoi antichi quella impertinente crudeltà che tutte le altre nationi siano barbare. Adorano un verso di Euripide come se fusse un editto dell’Onnipotente. Che sententia giustificata? Alla Grecia sola tocchi per natura il principato et a tutto il mondo rimanente la servitù. Ohimè! Che pena è ricordarsi Exarchi, Catapani, Stratigo? {18v} Cuori impastati di tradimenti, bocche nemiche di verità. Favoleggiano non più nelle poesie coi versi ma nel commertio con le fraudi. Dove poi comandano, non permettono che si trovi altra guardia contro alla libidine che la deformità, contro all’avaritia non lasciano altro ricovero che l’inopia. Alla crudeltà trovano patulo in ogni corpo dove sia sangue. Bisogna qui confessare il vero. Chi liberò Italia da questi due gioghi, merita le statue trionfali, non solo in tutti i teatri, ma in tutti i cuori. Et il cielo ha fatto questo beneficio alle due Sicilie col valore delle spade normande. Dunque non traditori di Grecia, ma liberatori d’Italia devono per questa causa intitolarsi i Guiscardi.

Capitolo XIII

Concludo dunque così. I Greci sono scacciati d’Italia, i Saracini di Sicilia, e noi resistiamo liberi dal vassallaggio. Chi non ha saputo difenderci, non pretenda di comandarci, et ogni popolo derelitto dall’impotenza degl’antichi padroni giustamente pretende che alla sua elettione sia devoluta la tutela della salute propria. Parlo con quella veneratione debita a quell’eccelsa superiorità che noi veneriamo nella maestà di Pietro, però Vostra Benedittione non ci niegherà il privilegio conceduto dalla {19r} natura a tutti gl’oppressi. Di eleggere i mezi espedienti alla sicurezza propria. Ascoltici dunque nella causa di questo governo o come elettori o come supplicanti. Si ano pure i voti nostri o decisivi o consultivi, volete Beatissimo Padre intendere quali siano? Guardate i nostri interessi. Gl’interessi noti sono sufragii scoperti et in tal caso niuna elettione è più espresssa che la tacita. La tacita si presume perché si vede e parla in ogni piazza con le bocche di tutti. L’espressa si ballottò perché era ambigua e parla nel consiglio per le bocche dei deputati. Hora nell’una maniera e nell’altra e dagl’interessi universali e da questa ambascieria supplicante si palesano a Vostra Santità li voti dell’una e l’altra Sicilia e vi domandano Ruggiero per re.

Capitolo XIV

Contentisi la Santità Vostra che io chiarisca li contradittori con una fintione di fantasia che sarà luce di verità. Dove sete o voi che desiderate che Ruggiero o si persuada o si violenti a partirsi? Io comparisco Nuntio d’un avviso inopinato. Sentite. Ruggiero depone lo scettro e vuole esaliarsi dal regno. Che ne dite? Io m’immaginavo di veder subito a questo tuono balenar nelle sacre fronti lampi d’allegrezze e vedo nei supercilii annubilati pensie – {19v} rose le menti. Mi accorgo che Vostra Santità ha subito appreso quanto arduo negotio sarebbe il mutare a queste provincie spiritose, cioè incontentabili o il principe o il principato. Per questo io propongo questo gran paradosso. Se Ruggiero volesse partirsi, noi doveremo pregarlo a restare. Dimostrato questo punto dell’interesse nostro, io finirò, lasciando al magistrato sacro il tempo sufficiente per entrare nel santuario ad esaminare l’articolo della religione.

Capitolo XV

Nuova sorte di governo è una macchina che non può edificarsi senza molte rovine. Le nationi troppo vivaci sono poco atte all’equalità delle republiche, et in esse s’introduce maggior servitù con l’impedir sempre la potenza sorgente che non è il quietarsi sotto una monarchia stabilita. Questi popoli sono assvefatti ad obbedire. Se la libertà gli sciogliesse, correrebbero al precipitio. Trattiamo quanto al mutar principato. Chi propone questo partito ci trovi qualche profeta, dal quale noi possiamo imparare in qual natione a qual personaggio deva inviarsi la corona dai nostri voti. A questa domanda il confessor contradicente proporrà l’oracolo di quel gran Bernardo, al quale molto più che i popoli di Grecia all’Apolline di Delfo ricorrono in questa età i principi del Christianesimo. Questo {20r} gran patriarca in una epistola famosa che egli scrive all’imperator Lotario definisce le nostre controversie con questo decreto. Est Caesaris proprium vindicare coronam ab usurpatore Siculo, soggiungendo che qualunque s’intitola re di Sicilia, si dichiara ribello all’Imperio. In questo luogo io riconosco e riverisco quel zelo che in mandatis dominio cupit nimis, però non tutte quelle ardenze che svaporate da un cuore zelante, devono sempre effettuarsi in un regno conturbato. Contentatevi o gran Consigliero del Paradiso o Gran Difensore del Vaticano, che noi vi chiediamo licenza di parlar così. Siamo feudi di Roma e non riconosciamo superiorità in Alemagna. Se ella ce la pretende per titoli antichi, se ei l’acquistò con vittorie moderne i titoli che si diedero dal papa, dal medesimo si tolsero. Ne possono più le vittorie nel guadagniare che le perdite nel disfare. Però quando Cesare è comparso qua ad instanza di Pietro, non reddidit, qua sunt Caesaris Caesari, sed qua sunt Dei Deo. Io m’assicuro che a questa nostra potestà non si opporrebbe Bernardo. Egli sono la tromba di guerra contro a Ruggiero scismatico, non la sonerebbe forse contro a Ruggiero humilitato. Certo se egli vedesse Ruggiero Normando genuflesso ai piedi d’Innocentio, non si curerebbe di vedere Lotario Tedesco trionfare nei regni di Sicilia. {20v}

Capitolo XVI

Il Pontefice Pasquale Secondo comparisce avanti a Vostra Santità e le porta un consiglio di confidenza. Si può facilmente diciferare nel paralello delle nostre due disaventure. Se egli fusse spettatore di questa scena, potrebbe mai concluder altro, se non che i Guiscardi di Normandia non sanno esser scorsesi nemeno contro i nemici carcerati, e gl’Henrici di Franconia non sanno esser pii, nepure verso i pontefici benefattori? Benché l’historia sia nota all’orecchie di tutti et anco agl’occhi di molti, vorrei impetrar licenza di farci sopra alcune reflessioni. Viene a Roma Henrico Quarto per stabilire la sua non ben corrobberata potenza col ricevere la corona da Pasquale Secondo. Le condittioni della concordia, essendosi prima pattuite fra gl’ambasciatori e poi giurate dai principali, facevano tacere ogni pronostico di disgusti in quel pericoloso congresso. Comparve il Cesare eletto con un corteggio armato di ben trentamila oltramontani. S’immaginava il papa di ricevere la pace publica nella persona augusta e mandò ad incontrarla non legioni martiali, ma sacerdoti salmeggianti e popoli gaudiosi che, in cambio di fiaste e di spade, portavano palme et olive. Taccio le cerimonie del primo abboccamento; con esse si manifestò nel portico vaticano la debita subordinatione {21r} che è fra la potenza e l’apostolato. Entrò nella basilica chi vuol vedere le furie dell’inferno scatenate nell’atrio del paradiso. Arriva il punto fatale quando per premio della coronatione cesarea si accena ad Henrico che faccia la pattuita renuntia delle iurisdittioni sacre. Egli, havendo appiattata la fraude sotto una parola equivoca, sfacciatamente contradice et al sacerdotio renitente minaccia violenze diaboliche.

Capitolo XVII

Sa Vostra Benedittione quanto al papa tradito costò la gloria della costanza apostolica? Infuriato Henrico per la meritata repulsa, con un cenno di spavento, ottenebrò l’universo. Ecco fra i fedeli attoniti si caccia con impeto quella soldatesca irritata, e forse che si contentò del terrore? S’impedì il sacrificio, si disertarono gl’altari, si fecero nuotare i cadaveri tra l’sangue in quella habitatione di Pietro che dai Gothi non catholici si rispettò come franchiggia del cielo. Ci è più: si spogliorono i sacerdoti con ludibrio, si legarono i cardinali in catene, si condusse il papa in cattività. Ancora dai Normandi si vede catturato Innocentio, ma quanto sono contrarie le cause? Scopriamo bene la diversità dei genii fra le due nationi in queste due prigonie. Pasquale incarcerato come si trattò dai tedeschi? Il principio dell’opera vi sia {21v} pronostico della fine. S’impiegò lo spatio di sessantun giorni, acciò le stranezze del patimento e gli stratagemmi del terrore violentassero il papa a conceder le corone a quella testa che meritava fulmini. Con questa penitenza il buon tedesco provirava l’assolutione. Trovò bene il pontefice tanto fortificato da Dio che per lui la minaccia della morte era voto di prosperità.

Capitolo XVIII

Disperandosi però di poterlo espugnare per via dell’amor proprio, si chiamò la carità del prossimo per consigliera di sommissione. Che vista miserabile fu agli sguardi pontificii il vedersi comparire avanti i cardinali et i prelati con le mani incatenate e col collo ignudo, mente il corteggio dei carnefici prenuntiava con gli spadoni impugnati l’esito della inaspettata tragedia? Si lesse ad alta voce un decreto che non si diffensse la morte ad alcuno, se Pasquale procrastinava più la coronatione ad Henrico. Qui le lacrime degl’innocenti, i consigli della cautela, le violenze della necessità intenerirono con la compassione quel petto, che si era pietrificato dalla costanza. Seguì quel che si sa, si coronò quel che si doveva degradare, si promesse quel che non poté ratificarsi. Mormorò la fama tanto gagliardamente di questa assolutione {22r} estorta che il pontefice Pasquale, inquietato dagli scrupoli et atterrito dall’accuse, convocò un concilio lateranese per chieder perdono di quei giuramenti nulli alla Chiesa scandalizzata. Oh questa si chiama prigionia. Così si trattano i pontefici dai Germani. Dica Innocentio come si trattino dai Normandi e quello Innocentio che si mosse verso Ruggiero, non con il clero, ma con l’esercito, non con le benedittioni, ma con le scommuniche, non per dargli la corona dell’imperio, ma per torgli la corona del regno. Che occorre che io parli? Sono stato forse tedioso allungandomi in un avvenimento notissimo. Ho voluto con questa ricordanza non lasciar dimenticare che in questa età non mette conto alla Chiesa che le corone di Sicilia si recuperino dai cesari di Germania.

Capitolo XIX

Quanto agl’interessi nostri, Dio ce ne liberi. Bastano le fortune di Lombardia per insegnarci a fare questa oratione. Quel paese tanto favorito dalla natura come fiorì governato dalla Franconia? Un pelago di discordie, un macello di occisioni, là si creano gl’antipapi, là si fomentano gli scismi, ivi gl’imperatori mostrano la potenza con esser crudeli e provano anco il vituperio con esser fugati. Queste informationi impetrarebbero la vittoria alla nostra {22v} causa ancora nel tribunale di Chiaravalle.

Capitolo XX

O Germania, io so ch tu sei l’armeria del mondo, la patria dei trionfi e la regia degli scettri. Io applaudo e non detraggo alle tue prerogative. La providenza dei cieli con l’autorità dei pontefici ha trasferita nei tuoi trionfatori la preminenza augusta sopra tutti i principati temporali. Non si è scordata la Chiesa che quando si diede la corona cesarea al tuo grande Otone, la credenza publica giubilava che mancati all’imperio i carolinghi nella Francia era rinato il Carlo Magno alla Sassonia. Un ramo di quella stirpe trapiantato in Baviera ha prodotto il gloriosissimo Henrico Secondo che fece vedere un prodigio grande nel settentrione, cioè la santità nel principato. Nella sua propagine s’innestò dal matrimonio il secondo Lotario che regnando in questi tempi fa credere che la giustitia del suo governo sia dote di quel sangue. Spero che l’età future potranno scrivere historie più felici et ho sentito pronosticare che la religione degl’imperatori alemanni, paragonata con la memoria dei cesari nostrali, farà sententiar dalla fama per indegna et incapace del diadema cesareo la Grecia et anche l’Italia. Non mi oppongo a questi vaticinii. Discorro dei {23r} nostri tempi e le mie parole sono esperienze. Parlo libero. Non crederò mai se Bernardo vedesse i cesari accasati nelle due Sicilie che egli corresse a congratularsi con li papi per le nuove commodità che possono sperare nel vedersi tanto vicini gl’avvocati della Chiesa. Che avvocati? Manum suam miserunt hostes ad omnia desiderabilia eius. Quel titolo di patrocinio ha fatto lero pretendere dominio di tirannia, ne so da quali barbari habbia fin qui il pontificato ricevuto oltraggi più gravi quanto da questi scommunicati protettori. Pare propriamente che non sappiano e non vogliano accomodarsi a vedere l’apostolato condotto nel mondo convertito dalle catene alle corone.

Capitolo XXI

Io sento ardermi nel centro del cuore un Mongibello di sdegno, quando io penso che partito non si proponga in questi tempi per additare un nuovo re ai nostri desiderii. E perché non consolidare il feudo col dominio e non ricevere per re il pontefice? O tempi miserabili. Mi si risponderà che questi sono sogni e perché? Perché gl’avvocati della Chiesa s’esporranno a pericolo di perder la Germania, prima che comportino che li successori di Pietro arrivino all’augumento di posseder le Sicilie. Parliamo d’altro perché in questa meditatione il mio spirito svaporarebbe in {23v} parole di poca riverenza. Odo uno che fa honore a questa patria e consiglia. Eleggete principe un paesano. Fra tanti nobili ingegni mancherà forse chi sia capace del principato? Il male è che non ci è pezzente che non se ne stimi meritevole più del compagno. Questa appassionata frenesia è madre di un’invidia tanto seditiosa che ciascheduno vorrà in questa regia adorar più tosto un barbaro che un emolo. Fra le competenze irrationali di cervellacci indomiti, non sarebbe possibile d’inlanguidire la superbia per frenarla, senza cavar troppo sangue o al regnatore o al regno. Pretendo con questo discorso haver impedito ogn’adito a prencipi novelli. I Greci ci hanno beneficati col fuggire, dei Saracini sarebbe fellonia il trattare gl’imperatori non devono bramarsi, i papi non si possono havere, i paesani non si vorranno obbedire. Ma secondo la nostra hipotese, Ruggiero vuol partirsi, che dunque faremo? Cominciate ad accorgervi che tutti gl’interessi ci spingono a supplicare il principe possidente acciò che resti.

Capitolo XXII

Oh che infelicità di fortuna è la mutatione del principe? In quella catastrofe si patiscono troppi disastri e la legge dominante ha premuto tanto nell’impedirgli che ad alcuno {24r} parerà che ella habbia tradito il mondo per adular la potenza. Sappiamo per qual fine sia istituito il principato, non per indorare un solo, ma per felicitare il publico. Hora e come è possibile che nella libidine d’una femina si comprometta e dalle leggi e dalli canoni l’elettione del regnatore? Sarà re di Egitto chi sodisfa a Cleopatra. Dunque si conquista un regno con l’abbracciare una donna? Che premio a quale attione? Par che il lume naturale ci repugni, par che il mondo strapazzato deva risentirsene, pare almeno che nel tribunale della fama e tanto manco in quel della conscienza non deva mai approvarsi. E pure la legge è chiara che la tutela dei popoli, cioè la padronanza dei regni dalle femine heredi si consegna in dote a mariti stranieri. Chi hebbe ardire di promulgare una legge tale? Il desiderio della pace la propose, il consenso del mondo l’approvò. I calculatori degl’interessi humani fecero il conto nell’esperienze di tutte le nationi e di tutti i secoli, e finalmente nel raccorne la somma si accorsero che, quanto a principi, si patiscono maggiori novimenti nelle seditiose elettioni d’un bono che nella sfortunata successione d’un malo. Chi vuol dubitarne? I principi nuovi quasi sempre si aprono la porta con la spada. Hora non farà mai tante rapine, tanti stupri, tante stragi l’insolenza d’un successore infame, quante {24v} il furore d’una guerra, benché giusta. Per questo si promulgò per legitimo il decreto che in questi frangenti pericolosi preferisce la congiuntione del sangue al merito della virtù.

Capitolo XXIII

Hora nelle due Sicilie non ci è quasi alcuno che non habbia imbevuta col latte l’obbedienza verso il nome Guiscardo, nel mondo tutto non si trova pur uno che sia fideiussore idoneo nel prometterci un principe che sia migliore di Ruggiero. Desideriamo in lui molte perfettioni, so che possiamo vivere sicuri di trovarle in un altro. Ricordiamoci che i tre principati susseguenti fecero desiderabili a Roma fino i tempi di Nerone. Non occorre estendersi più. Quando il superiore è comportabile, chi cerca l’ottimo, merita il pessimo. Ma Ruggiero in queste congiunture è non solamente comportabile, ma desiderabile.

Capitolo XXIV

Che occorre fulminare tante invettive contro al nome normando? L’oratione che dei principati è custode, vigila continuamente per lui nel monte Sinai e nel Santo Sepolcro, dove sempre splendono i donativi e spesso arrivano i pellegrini di Roano. I re di Francia, quando erano irritati {25r} a bramare a questa natione l’esterminio, le participorono il principato. Da essi si deve imparare che nel governo del mondo non deve prevalere l’ira alla salute e che il benefitio della concordia giuditiosamente si compra con la dimenticanza di tutte le offese. A quei re era stato dilaniato il regno e saccheggiato Parigi, e pure havendo esperimentato nelle sconfitte proprie il valore normando, si risolverono a volere huomini sì bravi più tosto compagni che nemici, et invitandoli ad abbandonar le patrie dell’antica dania, assegnorono loro sede e dominio in quella parte della Galia che di Neustria diventò Normandia. Voglio inferire. Noi non doviamo lasciarci svolgere dalla memoria delle ingiurie transitorie a repudiar questo sangue, mentre l’opportunità ne permette beneficii permanenti.

Capitolo XXV

Quanto alla stirpe Gusicarda, è bene incontentabile colui, l’amore del quale non se li impetra da questo elogio. Per opera dei Guiscardi non sono più né Greci, né Saracini nei regni dell’una e l’altra Sicilia. Et in un benefitio tanto sustantiale volete scrutinare le minuzzaglie di quelle perfettioni che vi si potevano desiderar di più? Vi sete scordati di essere in terra et io mi congratulo con voi perché conversatio vestra in coelis est. Io non {25v} difendo già tutte le attioni fatte da loro in questi tumulti et il principio del mio parlare non fu certo riprensibile per soverchia adulatione. Ricordatevi i titoli che io diedi a Ruggiero. Benché io gli moderi adesso, non gli nego però, ma che occorre tanto riscaldarsi in questo punto? Tutti i principati di conquista soggiacciono alle medesime accuse e non si arriverà mai a trovare in terra questa santa mostruosità che il furore armato voglia fra le felicità delle battaglie studiare i casi di conscienza. Ma trattando del rimedio per le turbolenze imminenti sentite gran cosa, si propone in questi paesi un negotio inaudito di nominarci un re. A queste cure sì fortunate non saremmo giunti mai, se non si distruggeva la tirannide dei Greci e dei Saracini. Si ritrova già in possesso vittorioso un trionfator principalissimo di quelli oppressori, non se gli può levare il dominio, e si dubita se si gli deve dare il titolo? Rispondete se è peggio che Greco, peggio che Saracino, signor no! Si deve prima sacrificar la vita che consacrar la tirannia. A questo io replico così: presupposto che Ruggiero sia stato Greco nel mancamento della fede, Saracino nell’esorbitanze della barbarie, non è più tale. Quei danni tanto horribili che accompagnano li principati di conquista, sono già sofferti, quel {26r} che ci manca per lui è la sicurezza, per noi è la pace. Dell’una e l’altra è desideroso Ruggiero. Per questo si humilia a Vostra Benedittione e per essere re pacifico delle Sicilie la supplica a dichiararlo vassallo stipendiario di San Pietro.

Capitolo XXVI

Il fatto sta, se la Chiesa può in costui assicurarsi della perseveranza. Altrimente non tornerebbe il conto lo stabilire ad uno spregiuro la potenza, acciò poi quando se la vede ben corrobberata, non vi faccia la guerra con i beneficii vostri. Io voglio ancora in questo placar il confessor contradicente e gli offerisco un ostaggio sopra il quale egli potrà quietarsi. Ruggiero non si crede alla tua pietà? Credasi al tuo interesse. L’interesse di stato entra per sicurtà di osservanza in questo contratto. Tutti quei conti che dalla esageratione monastica si calcarono per mostrare che a Ruggiero non si deve credere. Non son certo disprezzabili li feudi delle due Sicilie, si che possano dal supremo signore strapazzarsi a capriccio, ma non sono anco forse onnipotenti, siché con quella fiducia possa un feudatario arrogante vilipendere il patrocinio di Roma. Questi regni sono due gran navilii ma {26v} in quel mediterraneo, dove sempre passeggiano tempeste, chi vuole bene assicurargli, domandi l’ancore alla navicella di Pietro. Un pontefice maltrattato può scatenare contro di loro dal settentrione e dall’occidente venti così terribili che s’accorgano che la fortuna loro sta sempre fra Scilla e Cariddi. Questo interesse, ben ponderato da Ruggiero, connette con vincoli eterni questi regni alla sede Apostolica. In lui poi oltre a questo s’aggiungono le considerationi della persona propria. Certo se egli odia il titolo di tiranno come pericolo di vita, se desidera l’investitura del papa come antemurale del cielo, quando haverà conseguito il suo intento, non sarà tanto destruttore delle sue machine ch’ei voglia poi smantellare il suo trono di queste fortificationi soprahumane. Fin qui è stato nemico persequitato in battaglia, non è parsa a molti inescusabile la sua contumacia. Per l’avvenire sarà figlio incoronato di gloria, sarebbe punibile da tutti la sua perfidia. Non ha sì poco cervello che se egli pensasse a novità, volesse col giuramento dell’obbedienza pregiudicare ai pretesti della ferocia e vituperar la sua causa come tradimento. Fellone verso il benefattore, spregiuro verso Idio, esporrebbe una vita troppo odiosa a maggiori pericoli che non sono al presente quelli dai quali può liberarlo la benedittione {27r} papale. Dunque l’ostaggio è sicuro, non può sospettarsi d’inosservanza in Ruggiero.

Capitolo XXVII

Quando poi egli osservi quel che giura, ecco per opera del beatissimo Innocentio restituita la pace alla Chiesa, introdotta la felicità nelle Sicilie et aggiustato il mondo christiano nell’equilibrio delle potenze rivali. Che benefitio riceveranno queste provincie dalla Sede Apostolica? Padre Santo, questi regni, ardisco dire, i più delitiosi dell’universo, canonizzati dalla fama greca, con favole prodigiose, dotati dalla providenza celeste di miracoli perpetui, opus naturae non solum guadentis sed etiam triumphantis. Quanto alla salute populare, sono stati fin qui i più miserabili dell’Europa, svergognati dalla tirannia greca con sceleraggini postentose, desertati dalla vendita celeste con oppressioni non mai discontinuate, opus fortunae non solum indignantis, sed etiam savientis. Il sangue di questi popoli ha per troppi secoli sfamata la rabbia col ferro di quattro nationi egualmente crudeli, greci, saracini, todeschi, e normandi. Non ci è quasi persona che habbia veduta questa terra senza revolutione. Ecco hora avanti quei santisismi piedi, con i quali è venuta a visitarci la {27v} felicità, genuflessa la comitiva di questi prencipi supplicanti. Nelle nostre preghiere i popoli presenti et i futuri, per essere esauditi da Dio, fanno udirsi da lei et esclamano: pace, pace, non più guerra. Siamo liberi d’ogni giogo straniero, se il liberatore s’incorona per re la residenza regia non sarà in Normandia, ma in Italia. Di usurpatore diventando padrone, e di nemico facendosi padre, ben conoscerà che la nostra conservatione è il suo maggiore interesse e che i baluardi della potenza novella non possono da altri né altrove fabricarsi eterni che dall’amor publico e dentro ai nostri cuori. La successione poi ci farà goder quei frutti, e di utilità e di gloria, i quali germogliano in ogni terra, che essendo madre del proprio prencipe, partorisce ai popoli sodisfatti il medesimo per cittadino in amore e per monarca in Dominio. Quando, quando risuonerà nel tempio festeggiante la supplicata benedittione? Alzi Vostra Santità la destra che fa tremar l’inferno et aprendo il cielo, quieti la terra. Che impedimento potrà mai ritardare un tanto bene? Quella investitura che ella non darebbe al possidente Ruggiero in vigore della sua conquista, la conceda in virtù della nostra o supplica o elettione. In questo scrutinio d’inespugnabile necessità altro pare che non si possa fare, né per via {28r} di persuasione, né per via di violenza, altro pare che non si deva fare, né per rispetto della felicità publica, né per rispetto degl’interessi particolari. Non si fa pregiuditio a veruno. S’introduce la quiete nella Chiesa, si stablisce il feudo a San Pietro, si bilanciano i momento dei principi et alle due Sicilie si dona non solo la salute, ma ancora il principato.

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